Il ritorno dei libri-game (anche in biblioteca)

Chi, come il sottoscritto, ha iniziato a lavorare in biblioteca, soprattutto nelle biblioteche pubbliche e per ragazzi, negli anni ‘80, non può non ricordare lo sconcerto della comunità professionale di fronte al successo dei “libri-game”. Ricordo anche su AIB-CUR le discussioni su questo successo editoriale, che in Italia iniziò col primo volume, nel 1985, della serie di “Lupo Solitario” di Joe Dever nelle edizioni EL. La perplessità era nell’assegnare lo status di “libro” ad “oggetti” che parevano a diverse colleghe e colleghi più affini ai “giocattoli”. Il lettore era invitato infatti ad assegnare al proprio personaggio delle abilità (seguendo il modello sviluppato per i giochi di ruolo della serie “Dungeon & Dragons”) e a leggere la sua storia (di genere “heroic fantasy”) prendendo decisioni che ne potevano cambiare il corso (ad esempio, banalmente, di fronte ad una biforcazione decidere quale strada percorrere) e impegnarsi in scontri con nemici il cui esito dipendeva dalla sorte e dalle abilità che il lettore aveva deciso d’implementare. Anche quella dei libri-game parve una moda destinata ad affievolirsi un decennio dopo, soprattutto perché i giochi di ruolo cartacei cominciavano ad essere soppiantati dalla loro controparte elettronica.

Da qualche anno, mentre i videogiochi stanno sempre più diventando un medium riconosciuto a livello culturale e soprattutto commerciale dividendosi tra “e-sport”, produzioni faraoniche che nulla hanno ad invidiare ai blockbuster hollywoodiani e piccole produzioni densamente concettuose, è tornato prepotentemente in auge il gioco da tavolo, il gioco di ruolo, ed anche i libri-game sono ritornati ad interessare ed affascinare una fetta sempre più consistente di pubblico. Dal 2013 i libri della serie di libri-game ancor oggi più amata, quella di “Lupo Solitario”, sono ripubblicati da Vincent Book (marchio di Raven Distribution, società di Imola la cui attività principale è la distribuzione di giochi di ruolo e da tavolo) in edizioni curate e rilegate. Se la collana originale EL ispirava diffidenza tra adulti e bibliotecari era infatti anche per la sciattezza editoriale evidentemente riservata ad un prodotto “di consumo”.

Il ritorno dell’interesse per il libro-game ha avuto anche la conseguenza che, oltre alla ripubblicazione dei testi già editi, hanno iniziato ad essere presentati prodotti nuovi ed originali che prendono il modello “classico” del libro-game per svilupparlo anche in altre direzioni. Di più: piccole case editrice e nuovi e giovani autori utilizzano questo “format” per proporre al nuovo pubblico, giovane ma non solo, nuove avventure con un investimento editoriale tutto sommato contenuto (soprattutto pensando ai costi dello sviluppo di un gioco da tavolo o di un videogioco).

Ad esempio la collana “Sangue Inchiostro” che attualmente consta di due libri – “Il barbaro grigio” e “Il segno rosso” (pubblicati rispettivamente nel 2018 e 2019) – con avventure scritte da Daniele Daccò, curate graficamente da Melissa Spandri e pubblicate da PaperBag Books-Tora (sostanzialmente un’autoproduzione). Lasciando perdere tutta la complessità legata alla delineazione ed evoluzione delle abilità, tipiche del gioco di ruolo, Daccò sviluppa avventure in cui il lettore deve riflettere su tutto il corpus di libri e videogiochi fantasy di cui ha fatto esperienza per riuscire ad individuare il percorso che gli consentirà di arrivare ad uno dei finali in cui non gli capitino brutte cose. Le avventure di Daccò – rispetto alla complessità a volte perversa dei titoli di “Lupo Solitario” – giocano al “deja vù” col lettore interpellandolo direttamente e quasi conversando con lui su abitudini e vizi del giocatore medio (vizi a cui l’illustratrice ammicca esplicitamente con le sue procaci eroine).

Ancora più chiaramente dedicata al lettore è la collana “Choose Cthulhu”, sempre di Vincent Book. In questa serie, di cui sono usciti i primi quattro volumi e ne sono in uscita altri due, vengono esplicitamente presi i racconti di H.P. Lovecraft (altro grande oggetto di recupero in questi ultimi anni sia a livello fumettistico grazie ad Alan Moore, sia a livello ludico e videoludico) e trasformati in avventure interattive. I fan dello scrittore di Providence potrebbero pensare di essere avvantaggiati, conoscendo già a menadito le storie raccontate, ed in alcuni casi è effettivamente così, ma gli autori si sono generalmente adoperati per offrire percorsi alternativi e/o secondari ma ugualmente intriganti. I titoli disponibili sono: “Il Richiamo di Cthulhu” (2018), “Le Montagne della Follia” (2018), “La Maschera di Innsmouth” (2019) e “La Città senza Nome” (2019), mentre previsti in uscita: “L’Orrore di Dunwich” e “I Sogni nella Casa Stregata”. Il racconto più ludicamente efficace è “La Città senza Nome” dove il lettore viene lasciato sostanzialmente libero di esplorare gli ambienti nell’ordine preferito e gli oggetti che riuscirà a recuperare, grazie alla sua abilità e scrupolosità, gli permetteranno di accedere al finale.

Uno di quelli che possono essere considerati i fondatori della “ludologia”, Espen Aarseth, introduce nel suo testo fondamentale, ormai un classico della disciplina: “Cybertext” (John Hopkins University Press, 1997), il concetto di “letteratura ergodica”. Per Aarseth “letteratura ergodica” è quella che prevede un’attività non triviale da parte del proprio lettore per essere fruita. Attività non triviale è quella presente ovviamente in giochi e in videogiochi in cui il fruitore viene costantemente messo alla prova per superare ostacoli, puzzle, nemici. Nel suo testo Aarseth riporta alcuni esempi di letteratura non lineare come “Rayuela – Il gioco del mondo” di Cortazar. Il romanzo di Cortazar in effetti è costruito in maniera non lineare con parti opzionali che arricchiscono la lettura senza per altro che la loro assenza pregiudichi la comprensione della trama. Nonostante l’eccelso livello letterario, non si può però parlare di un testo ergodico perché non vi è una vera “scelta” di lettura, non siamo in presenza di decisioni consapevoli da parte del lettore per arrivare ad un determinato esito narrativo. Dal punto di vista strettamente letterario – rimanendo cioè in ambito del medium “libro” – l’unica vera “letteratura ergodica” è costituita esattamente dai libri-game (di cui però nel suo testo Aarseth non s’accorge). Certo, esattamente come sottolineavano i detrattori negli anni ‘80/’90, il livello letterario è decisamente basso. Non di meno sono un modello che è possibile sviluppare in direzioni finora non ancora sperimentate. E che l’esperienza con l’opera lovecraftiana ci dimostra come possano essere utilizzate con successo assieme al libro ed alle narrazioni tradizionali.

Anche all’interno di contesti didattici o bibliotecari l’utilizzo della logica sottostante al libro-game (ludicizzare – o, se si preferisce, gamificare – una narrazione) può da una parte essere utilizzata come strumento che insegni a decostruire un testo letterario per poi ricostruirlo in forma di sceneggiatura per un testo non solo ma potenzialmente anche interattivo; dall’altra dare nuovo stimolo alle letture bibliotecarie unendo libro e lettura al gioco.

Francesco Mazzetta

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