Si è svolto lo scorso 3 febbraio, presso l’Aula Magna “Aldo Cossu” dell’Università degli Studi di Bari, il convegno “Open your minds to open science: le molteplici forme dell’accesso aperto”. Organizzato dal Gruppo di lavoro “Università e Ricerca” dell’AIB Sezione Puglia con il patrocinio delle Università di Bari, di Foggia, del Salento e del Politecnico di Bari il convegno si è posto l’obiettivo di richiamare l’attenzione di bibliotecari e ricercatori su un argomento di forte attualità quale l’accesso aperto alla letteratura di ricerca.
Dopo i consueti saluti introduttivi delle autorità è toccato al Presidente dell’AIB Sezione Puglia, Waldemaro Morgese, aprire i lavori sottolineando come l’esigenza Open o Free debba rappresentare un bene strategico ed un punto d’approdo per la società. Stefano Parise, membro dell’Executive Committee di EBLIDA coordina la prima sessione e subito sottolinea l’importanza di aver inserito nel titolo del Convegno il concetto di Open science che mette al centro la condivisione e non la competizione (tipica del “sistema editoriale”).
Il primo intervento della sessione mattutina è di Elena Giglia dell’Università di Torino che racconta l’esperienza vissuta nel suo Ateneo in occasione dell’adozione del Regolamento sull’Accesso aperto. Non ritiene possibile continuare a portare avanti il vecchio modello economico per il quale è come se pagassimo gli editori per tenere sotto chiave i contenuti della ricerca. Chiaramente aprire non deve voler dire ignorare la realtà economica e commerciale, ma, certamente, cercare soluzioni sostenibili, investire in strumenti collaborativi che permettano di abbattere i muri che circondano la scienza. Le alternative le abbiamo e partono dall’anarchia della pirateria (vedasi il successo di Sci-hub) a soluzioni più “moderate” come la green road (ovvero il deposito su archivio istituzionale) e la gold road (ovvero la pubblicazione ad accesso aperto su riviste di editori scientifici internazionali). I grossi vantaggi rappresentati dall’openness si possono riassumere così: i risultati si vedono prima, crescono le citazioni, c’è maggiore interdisciplinarietà, ci si apre al proprio territorio. Paola Gargiulo, CINECA e Open AIRE – National Open Access Desk opta per un intervento senza slide e molto accorato. Loda l’iniziativa del convegno, ma sottolinea come i risultati raggiunti non sono ovunque positivi, anzi, in molti casi, le Università sono abbondantemente indietro. Diverse sono le motivazioni: la difficoltà di coordinamento fra gli Uffici Ricerca e i Sistemi bibliotecari e, in molti casi, anche la mancanza di specifiche competenze su copyright e progetti. L’open science ha un’importante ricaduta sul territorio e, ormai, deve essere considerato irresponsabile qualsiasi ricercatore che non pubblichi i risultati della propria ricerca sul repository istituzionale. La rapidità di accesso ai dati che una rivista Open access ha la capacità di garantire può, infatti, in alcuni casi, salvare vite umane.
L’intervento di Maria Chiara Pievatolo, dell’Università di Pisa, riguarda la revisione paritaria. Allo stato attuale essa è chiusa ed ostacola la circolazione delle idee. Discute, poi, alcuni attuali esempi di revisione aperta come “Discrete analysis” di Tim Gowers ed altri il cui obiettivo è aprire la scienza nel suo intero processo di discussione e di scoperta. Conclude rimarcando che, per il bene della ricerca, sarebbe opportuno invertire l’ordine dei fattori, ovvero rendere anonime le pubblicazioni, per limitarne il numero e migliorarne la qualità, e rendere nominativa la revisione paritaria, per responsabilizzarla e riconoscerla. Segue l’intervento di Alessandro Pierno Associate Editor di DOAJ. Descrive minuziosamente la progettazione di un open access journal. Per poter essere caricata su DOAJ la rivista deve soddisfare un notevole numero di requisiti: avere una policy di archiviazione permanente; fornire a DOAJ i metadati degli articoli; permettere agli autori di mantenere il copyright senza alcuna restrizione.
Dopo la pausa si riparte con la seconda sessione coordinata da Lucia di Palo, dell’Università di Bari e responsabile del comitato scientifico del convegno.
Il primo intervento è di Nicola De Bellis, dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Introduce mostrando l’antitesi assoluta fra Open Access e bibliometria. Cita poi “The Leiden Manifesto for research metrics”: vere e proprie leggi sulla bibliometria che, però, purtroppo, non ci dicono la cosa più importante ovvero come mettere in pratica i loro comandamenti. Presso UNIMORE si è pensato di portare il problema dell’analisi a livello di istituzione creando un report sulla produzione scientifica del Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dal 2004 al 2015. Il report finale, pur avendo avuto un discreto feedback, ha ricevuto anche alcune critiche dovute a carenze di dati su finanziamenti e risorse umane. Conclude affermando che sarebbe interessante poter confrontare i dati di UNIMORE con dati di report analoghi di altri Atenei per poter correggere il tiro su prossime eventuali analoghe iniziative.
Intervengono, subito dopo, Antonella Toni e Maria Regina Maggiore dell’Università del Salento che ripercorrono la storia di due riviste da considerarsi come vere e proprie antesignane dell’Open Access in Italia ovvero “Note di Matematica” e “Thalassia Salentina” nate alla fine degli anni ’90. Fra le altre cose viene ricordato come la codifica DOI, che consente l’identificazione univoca e permanente di ogni documento in formato elettronico, viene utilizzata per la prima volta, in Italia, per queste due riviste.
L’intervento di Rosita Ingrosso, del Coordinamento SIBA dell’Università del Salento, illustra la storia di “ESE – Salento University Publishing”. Progettato nel 1999, ESE nasce nel 2000. Sottolinea che il Coordinamento SIBA si occupa, fra le altre cose, dello sviluppo e continuo aggiornamento del sistema per renderlo conforme alle ultime versioni degli standard nazionali e internazionali.
Roberto Raieli, bibliotecario presso Sapienza Università di Roma, ricostruisce la storia di “AIB studi. Rivista di biblioteconomia e scienze dell’informazione”. La rivista, nata nel 1955, ha modificato, nel corso degli anni, titolo, direzione e formato nel quale è disponibile. Dal 2012 è pubblicata come periodico elettronico e, dal gennaio 2016, ad accesso aperto.
Ultimo relatore è stato Luigi Catalani, dell’Università di Salerno e responsabile di progetti Wikimedia Italia. Nel suo intervento ci espone The Wikipedia Library, un movimento che mette in comunicazione il mondo della ricerca e Wikipedia per favorire la circolazione di informazione validata. Viene presentata la campagna #1Lib1Ref, un’iniziativa che affida ai bibliotecari il compito di veicolare le fonti scientifiche attraverso l’enciclopedia collaborativa e multilingue.
Nel complesso si è trattato di una giornata molto ricca di spunti e stimoli sia per chi, per la prima volta, si avvicinava all’argomento sia per gli addetti ai lavori. Si sono ripercorse, in più momenti, tappe storiche come la “Dichiarazione di Messina” e le difficoltà affrontate negli anni e, in molti casi, superate con successo. Si sono, tuttavia, segnalati anche numerosi colli di bottiglia che, tuttora, stanno rallentando, nei nostri Atenei, l’adozione della Policy o il popolamento delle Repositories istituzionali e che vanno dallo scarso coordinamento fra le aree alla mancanza di specifiche competenze di settore. Il rapporto con gli editori scientifici sta cambiando, alla luce della sempre più ampia adesione all’Expression of Interest e dell’adozione dell’APC (Article Processing Charge), nonché di una maggiore consapevolezza dei ricercatori che, da una parte, hanno compreso la necessità di non cedere tutti i diritti all’editore e, dall’altra, stanno sempre più comprendendo il senso etico dell’Open science, che è quello di mettere a disposizione, ad accesso aperto e rapidamente, i risultati della ricerca per il bene della collettività.
Graziano Barca – Università di Foggia – graziano.barca(at)unifg.it