Un approccio sistemico alle biblioteche

Conversazione con Chiara Faggiolani

Con questa intervista parliamo del volume a più voci, appena uscito per i tipi dell’Editrice Bibliografica, Le biblioteche nel sistema del benessere.  Il lavoro, curato da Chiara Faggiolani, rappresenta un importante passo avanti degli studi di biblioteconomia sociale e propone un’infinita, e bene armonizzata, serie di spunti di grande importanza per lo sviluppo della professione e per l’avvenire del sistema delle biblioteche. Chiara ha accettato volentieri di rispondere ad alcune domande e sollecitazioni nate dalla lettura del volume su alcuni aspetti particolari.

FD: presentando il lavoro ne individui due obiettivi principali: raccontare le biblioteche, nelle loro caratteristiche attraverso i dati disponibili e avvalersi di competenze estremamente diversificate per raggiungere una visione interdisciplinare del sistema biblioteca. Leggendo i diversi contributi a me sembrano obiettivi ben conseguiti. Ma ci sono state specifiche difficoltà da superare su entrambi i fronti? E in caso affermativo, quali sono state?

CF: Il libro parte da un presupposto che mi piace esplicitare utilizzando le parole di Donatella H. Meadows, una delle autrici del famoso rapporto I limiti dello sviluppo del 1972 che ha avviato la riflessione che porta oggi all’Agenda 2030: «Il confine giusto per riflettere su un problema raramente coincide con il confine di una disciplina accademica. Idealmente, dovremmo avere la flessibilità mentale per trovare il confine appropriato a ogni nuovo problema». (1)

Ecco, con questo libro il mio tentativo è stato quello di delineare i confini utili a fornire sulle biblioteche “uno sguardo nuovo” che – non a caso – è il sottotitolo del libro. La dimensione dell’interdisciplinarità che io ho sempre praticato in questo caso ho cercato di concretizzarla sviluppando la dimensione del “gruppo”, ineludibile dal mio punto di vista oggi per qualsiasi tipo di ricerca a partire dall’idea che le cose importanti non si fanno mai da soli.

Il volume presenta 14 contributi e sono 20 gli autori che hanno messo al centro dell’attenzione la biblioteca analizzandola e raccontandola attraverso strumenti, approcci e sensibilità molto diverse: dalla biblioteconomia alla geografia, dalla statistica al management. Per me è stata una esperienza straordinariamente importante e arricchente anche umanamente e mi piacerebbe che il lettore di questo nostro lavoro sentisse esattamente questo tipo di sensazione.

Come tu stesso dici però non sono mancate criticità e difficoltà. La prima è stata quella di valorizzare questi diversi approcci disciplinari mantenendo però l’attenzione su un obiettivo comune e rispetto ai dati renderli protagonisti senza farsi schiacciare dai numeri. Diciamo mettere i dati a servizio di una narrazione capace di valorizzare l’approccio sistemico che abbiamo sposato.

FD: nel primo contributo Le biblioteche nel “sistema benessere”, di cui sei autrice, la centralità delle biblioteche nel sistema benessere supera di slancio ogni perplessità “riduzionista” sul loro futuro prossimo. Tu stessa però evidenzi come, nelle visioni generali non specialistiche ma anche nella pratica professionale, elementi importanti segnalino la permanenza di quello che definisci uno sguardo “rivolto ancora troppo all’interno”. Quali passaggi sono essenziali, sul breve periodo, per consentirci decisi passi avanti?

CF: Comprendere le cose in maniera sistemica significa  inserirle in un contesto, stabilire la natura delle loro relazioni e inquadrarne chiaramente lo scopo. Pensare alle biblioteche come elementi del “sistema benessere” rende sicuramente riduttivo continuare a pensare che le biblioteche agiscano in una sfera sola: solo come servizio di supporto allo studio e alla ricerca, solo nella sfera dell’occupazione del tempo libero con la pubblica lettura ecc.  Il punto di vista che è necessario assumere – che dovrebbero adottare prima di tutto gli addetti ai lavori – è quello di comprendere, misurare e comunicare come le biblioteche possano aiutare a fronteggiare le sfide sociali con le quali tutti noi come cittadini siamo chiamati a confrontarci, valorizzando il loro core business di servizio culturale (anche a seconda della diversa tipologia): l’apprendimento continuo, l’innovazione culturale, il contrasto ai divides e agli analfabetismi – quello funzionale, quello di ritorno, quello emotivo, gravissimo problema della nostra contemporaneità, specialmente dopo i due anni vissuti all’insegna del distanziamento sociale – l’inclusione sociale, lo sviluppo di comunità ecc.

Ecco, dunque, che le attività di ricerca che intendono indagare la relazione che le persone hanno con le biblioteche oggi dovrebbero essere orientate a rispondere a una domanda che suona più o meno così e che non perdo mai occasione di ricordare: a quale interesse collettivo possono rispondere le biblioteche nella contemporaneità? 

FD: trovo che l’importanza di contributi quale quello di Fabrizio Maria Arosio e Alessandra Federici Il profilo delle biblioteche attraverso i dati, stia nella messe di dati, tutt’altro che raw ma bene analizzati dai due autori, in modo tale da rendere inoppugnabili alcune delle criticità evidenziate. Ne deriva una sollecitazione a rendere più sofisticate le capacità di analisi del dato già peraltro presenti nella disciplina biblioteconomica?  

CF: Il contributo dei colleghi dell’Istat è fondamentale in questo libro perché dal mio punto di vista costituisce le fondamenta del volume. Tante delle riflessioni che vengono presentate poggiano sulla loro analisi ma voglio approfittare per ricordare più in generale il ruolo straordinario che l’Istat ha in questo momento nel fornire dati su/per le biblioteche italiane che rappresentano qualcosa di davvero unico nella storia del nostro paese: il censimento delle biblioteche è arrivato alla terza annualità, abbiamo una batteria di domande all’interno della fondamentale statistica annuale multiscopo Aspetti della vita quotidiana e infine un indicatore appositamente dedicato alle biblioteche nel Rapporto sul benessere equo e sostenibile. Diciamo che questo è un esempio concreto di quel concetto di “unione che fa la forza” che ho cercato di esplicitare prima. Il lavoro con l’Istat di questi anni è stato straordinariamente importante ma permettimi di approfittare per ricordare che i veri protagonisti sono i bibliotecari. Specialmente per il censimento sono loro a dover essere consapevoli che si tratta di una straordinaria opportunità per raccogliere informazioni preziose a scopo decisionale.

Per quanto riguarda invece le capacità di analisi del dato già peraltro presenti nella disciplina biblioteconomica alle quali facevi riferimento, hai perfettamente ragione. Poco tempo fa a Paderno Dugnano c’è stato un bel convegno organizzato da CSBNO  in memoria di Rino Clerici dedicato a questi temi (https://www.youtube.com/watch?v=XLNerHq219g) dove sono state raccontate esperienze in termini di analisi dei dati che concretizzano quella visione di interdisciplinarità rinnovata della quale stiamo parlando. Mi piace ricordare a questo proposito la figura di una data scientist nello staff delle Biblioteche di Milano. Un fatto che ci racconta concretamente come sta cambiando l’approccio ai dati anche nel nostro settore.

FD: l’introduzione del concetto di fan club, operata da Paola Dubini e Alberto Monti nel loro Essere luoghi di comunità, rappresenta un altro importante passo avanti nella buona pratica quotidiana di biblioteche la cui missione si rafforza grazie alla condivisione con i propri utenti. Ne sono piacevolmente colpito ricordando come, anche negli anni passati, molte strutture bibliotecarie abbiano tratto forza dalla vicinanza del proprio pubblico. Dove occorre incidere per rafforzare questo paradigma?

CF: Il libro delinea un panorama abbastanza preciso che potrei descrivere a partire dalla drastica riduzione delle persone che le hanno frequentate negli ultimi due anni. Erano il 15% circa gli utenti delle biblioteche nel 2019 e sono stati poco più del 7% nel 2021. Il fan club di cui parlano Dubini e Monti nel loro bellissimo saggio è chiaramente dentro quel 7%. Il messaggio che vogliamo lanciare è prima di tutto questo: peccato non coinvolgere il fan club perché sono esattamente quelli gli utenti che sanno come si inserisce la frequentazione delle biblioteche nella vita quotidiana. L’altro messaggio è cominciare a guardare oltre, ovvero al restante 93%. Le attività di ricerca applicata da realizzare in futuro è a questo pubblico che devono guardare, con una certa urgenza. La drastica riduzione nella frequentazione delle biblioteche che ho richiamato prima non è omogenea e sarebbe sbagliato rimanere sulla valutazione della media annuale che spesso nasconde profonde differenze. Guardando con attenzione i dati dell’Istat si nota che il crollo è decisamente determinato dalle fasce d’età più giovani, quelle che hanno sempre rappresentato il pubblico più presente. Per altro il pubblico che esprime il maggior livello di uso della biblioteca legato alla socialità, all’incontro con gli amici ecc. Credo sia chiaro in quale direzione lavorare.

FD: Giovanni Solimine, nel suo Le forme della lettura in biblioteca, sulla base delle evidenze derivanti da una ricerca sulle letture effettuate in biblioteca, intravede un’assimilazione tra i comportamenti degli utenti delle biblioteche e quelli delle librerie, domandosi se la specificità della lettura in biblioteca non si vada perdendo. Creerà ciò una nuova difficoltà ai sistemi bibliotecari o sarà un cambiamento indolore?

CF: Giovanni Solimine propone nel suo saggio una visione come al solito ampia e illuminante. Il tema di fondo in questo caso è il ruolo delle biblioteche nel “sistema del libro e della lettura” a partire da una indagine  realizzata dalla fondazione Bellonci che non ha precedenti per le sue dimensioni e che per la prima volta ha studiato a livello nazionale cosa leggono gli utenti delle biblioteche di base in Italia. In questo contributo viene raccontata la lettura in biblioteca come emerge dall’analisi delle letture effettuate nelle biblioteche italiane nel triennio 2018-2020, con l’obiettivo di approfondire la specificità del ruolo esercitato dai servizi bibliotecari, in particolare quelli delle biblioteche pubbliche di base, nel panorama delle pratiche di lettura nel nostro paese. Quattro sono le questioni alle quali viene dedicata una specifica riflessione: lo scostamento della lettura in biblioteca rispetto al mercato librario; i condizionamenti territoriali; l’impatto dei premi letterari e delle attività promozionali; gli effetti del digitale. Tutti temi centrali.

FD: In Italian libraries do it better Riccardo Demicelis e Gianni Stefanini raccontano, giustamente con orgoglio, l’esperienza della Rete delle reti. Nel loro contributo sono evidenziati i numerosi avanzamenti che lo sviluppo della Rete ha generato, in termini di impostazioni istituzionali, di impiego delle tecnologie, di problem solving. Tutto ciò, osservo, desta ancora maggiore interesse  se si considerano le numerose fratture, economico-sociali e psicologiche, di questo Paese. Quale è, a tuo avviso, la replicabilità di quest’ esperienza, nel breve periodo, in altri segmenti del nostro sistema bibliotecario?

CF: Quella della Rete delle reti è una esperienza importante che si sta profondamente radicando. Credo che l’idea di fondo sia sintetizzata molto bene dal claim “In ogni biblioteca, il meglio delle biblioteche italiane”. Gli autori del saggio ripercorrono la storia di questo vasto movimento di cooperazione nato dal basso, giunto in poco tempo ad assumere respiro nazionale con l’adesione di 36 reti, localizzate in 8 regioni (Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Veneto), per un bacino totale di 13,4 milioni di persone. I partecipanti di questo movimento – ci ricordano gli autori – sono accomunati dall’essersi ritrovati a toccare il “soffitto di vetro” del proprio sviluppo, rappresentato soprattutto da sfide emergenti che, per loro natura, sembrano afferire a un livello di cooperazione ulteriore rispetto a quello in cui le realtà bibliotecarie di solito operano, un livello dove l’unione può fare davvero la differenza

FD: Nella parte finale del tuo saggio tracci efficacemente il passaggio dal “coinvolgimento” alla “partecipazione” al “protagonismo” delle persone determinato dall’avvento del digitale. Personalmente ho sempre apprezzato il tuo approccio “coraggioso” agli effetti dell’innovazione che, non per caso, ti ha portato ad approfondire, prima di altri, un tema quale quello del social reading. Ciò non toglie che le contraddizioni determinate dall’innovazione possano essere molteplici. Come fronteggiarle?

CF: Credo che sia necessario per le biblioteche mantenere altissima l’attenzione sulle proprie specificità ma anche aprirsi all’immaginazione. Tu hai richiamato l’attenzione su questo passaggio importante dal coinvolgimento alla partecipazione attiva del pubblico, tipico della “cultura orizzontale”, richiamando il volume di Solimine e Zanchini che questa trasformazione descrive così bene. È  in questo scenario che le biblioteche si devono “riposizionare” senza annacquare il proprio specifico, senza abbracciare necessariamente mestieri nuovi ma sapendosi confrontare con essi. L’esempio che portavo prima rispetto alle biblioteche di Milano è illuminante. Non possiamo pensare che il bibliotecario debba diventare un data scientist ma è necessario che sappia confrontarsi con questo, con la consapevolezza di essere l’esperto di dominio del quale il data scientist non può fare a meno.

FD: Abbiamo terminato, grazie per il tuo tempo, ancora complimenti, a te ed a tutti gli autori, buon lavoro!

CF: Grazie a te per aver dedicato spazio a questo libro e per l’opportunità che mi hai dato di parlarne ai lettori di AIB Notizie.

(1) Donatella H. Meadows, Pensare per sistemi. Interpretare il presente, orientare il futuro verso uno sviluppo sostenibile, Milano, Guerini Next, 2019 (e-book).

Ferruccio Diozzi, ferruccio.diozzi@gmail.com

Chiara Faggiolani, chiara.faggiolani@uniroma1.it