La Biblioteca esiste ab aeterno. E il bibliotecario?

de bibliotheca

Andrea Zanni è presidente di Wikimedia Italia, amministratore di Wikisource, bibliotecario digitale presso MLOL. Ha un suo blog dove pubblica commenti, impressioni, visioni del mondo e delle biblioteche. Spesso i suoi post accendono discussioni appassionate e aprono congiunture inaspettate. E’ proprio da uno dei suoi ultimi post che cominciamo questa conversazione sulla sua visione delle biblioteche e dei bibliotecari.

1. Partiamo con un paradosso comico: il titolo di uno dei tuoi più recenti post mi fa pensare a quella frase attribuita a Groucho Marx che molti utilizzano quando si parla di libri e biblioteche: “Outside of a dog, a book is a man’s best friend. Inside of a dog it’s too dark to read”. Anche il tuo titolo, “An empty room apart from a librarian, is merely a room with a librarian” mi appare come una sfida o una provocazione. Puoi spiegare a cosa si ispira questo tuo intervento e qual è la sua essenza?

La frase non è mia, ma di un certo Michael, che ha commentato un post di Lane Wilkinson, che a sua volta commentava una frase di David Lankes: A room full of books is simply a closet but that an empty room with a librarian in it is a library.

La visione lankesiana delle biblioteche e dei bibliotecari (enorme, potente, contraddittoria) a me piace molto, ma secondo me sopravvaluta, in questo caso, il potere e le competenze dei bibliotecari. Secondo me non è vero che una stanza vuota con un bibliotecario sia una biblioteca. Non per questo penso che Lankes sia tutto da buttare via, anzi: la sua idea del bibliotecario come “facilitatore di creazione di conoscenza in una determinata comunità” di utente è per me bellissima, e va esplorata e testata. Il post singolo era dunque una critica a Lankes, in questa sua frase. Ma la discussione che si è articolata fa parte di una più lunga conversazione fra me e me che leggo Lankes, e poi altri amici e bibliotecari (fra cui Lankes stesso, in persona).

2. Perché pensi che il tuo post abbia aperto una discussione così animata?

Lankes o si ama o si odia :-).

Scherzi a parte, le sue tesi sono audaci, retoriche, a loro modo rivoluzionarie, e allo stesso tempo vaghe e contraddittorie: accende gli animi, e viene spesso criticato (a volte a ragione, a volte no). Fra chi lo apprezza non conosco tifosi talebani: ognuno ne prende un pezzo, ognuno trova cose interessanti in quello che propone. Io credo che il semplice dibattito che le sue idee suscitano sia una cosa sana, perché noi tendiamo a non vedere i costi invisibili dell’inerzia, dello stare fermi. Io sono critico verso certi atteggiamenti dei bibliotecari perché credo che stiano rischiando grosso, o quantomeno che stiano perdendo opportunità importanti. Lankes forse esagera, forse vuole spostare troppo il baricentro dei bibliotecari, ma fa bene a farlo. Deve spingerli. Ne va della professione, secondo me.

3. Secondo te, esistono, oggi, delle funzioni, degli elementi che possano consentire di definire una biblioteca? Insomma, cosa fa di una biblioteca una “biblioteca”?

È una grande domanda, a cui non so rispondere. Ci sono cose della biblioteca che io amo e ritengo importanti, almeno idealmente: la biblioteca come spazio relativo e dedicato all’apprendimento, allo studio, alla lettura. Come spazio libero, aperto, accogliente (safe space, dicono gli americani). Come luogo di conservazione di una memoria culturale, attraverso i libri (e film e musica): come luogo di accesso a questa memoria. Fin qui, sono molto tradizionale. Il punto è: imparare a programmare rientra nelle offerte che una biblioteca deve fornire? Uno spazio per studiare e conversare a voce alta? Un luogo dove anche comprare alcuni libri? Un luogo in cui essere alfabetizzati sul computer? Su Wikipedia? Sugli aspetti legali del contratto di lavoro? Su come diventare imprenditori, pagare le tasse, capire come distinguere buona e cattiva informazione su Internet?  Il punto è che le biblioteche sono assolutamente sottoutilizzate, soprattutto in Italia, costano tanto, e il livello di analfabetismo funzionale è altissimo. Le persone sanno tecnicamente leggere ma non capiscono un testo mediamente difficile. Non leggono neanche un libro l’anno. Cosa serve avere a disposizione milioni di splendidi testi, perfettamente organizzati, se le persone non sanno comprendere questi testi? Però, d’altra parte, tutti hanno uno smartphone, tutti vanno in internet, e in internet le biblioteche non ci sono. Coloro che per secoli hanno “organizzato l’informazione”, nel Web non organizzano più niente. Lasciano questo compito agli informatici, agli ingegneri. Google stesso nasce dall’applicazione di un principio bibliometrico alle pagine del web. Il MARC è stato il primo standard di metadati leggibile dai computer, ma viene usato solo dalle biblioteche. Il web, pur essendo composto interamente da documenti, utilizza altri metadati, altri schemi. Anche seguendo la visione di Lankes, in cui il bibliotecario è un “facilitatore di creazione di conoscenza”, io vedo i bibliotecari in secondo piano: tutti i progetti di creazione comunitaria di conoscenza che conosco (Wikipedia, Wikisource, Gutenberg, Liber Liber, StackOverflow, ecc.) sono *senza* bibliotecari. I bibliotecari come intermediario (accesso all’informazione, organizzazione dell’informazione, reference, e pure il bibliotecario “facilitatore”) stanno secondo me morendo. O moriranno se non sapranno intercettare le nuove domande. Secondo me è un discorso importante.

4. Nel tuo post, che onestamente ho apprezzato parecchio e che avrei voluto fosse più esteso, accenni ad alcune questioni ontologiche relative alla biblioteca, ma prima di tutto lanci la bomba della questione terminologica. Ti sta bene il termine biblioteca o credi che abbia ormai un che di anacronistico? Nel caso, cosa proponi come alternativa?

Biblioteca è una parola che amo molto, non sono obiettivo, ergo non sono la persona giusta a cui chiedere. Io non credo che la questione terminologica sia davvero così importante. Le biblioteche da decenni hanno computer, riviste, film, musica: sono sopravvissute con lo stesso nome pur senza averle chiamate mediateche. Ancora. Le biblioteche vengono poi utilizzate in gran parte perché hanno tavoli, silenzio, luce, un sistema di riscaldamento e dei bagni. Non le chiamiamo “sale studio in cui eventualmente puoi prendere in prestito libri”, le chiamiamo biblioteche. Quindi, continuiamo pure a chiamarci bibliotecari, senza però essere noi i primi a fissarci sul nome. Io amo definirmi un “bibliotecario digitale”, perché credo fermamente sia quello che faccio: lavorare nell’industria dell’”accesso alla conoscenza”. Ho fatto cose diverse; il volontario su Wikisource, il responsabile di una piattaforma di pubblicazione open access, mentre adesso vado in giro per il web a cercare collezione in “pubblico dominio” e le integro a MLOL. Per me sono declinazioni diverse di un’unica professione.

5. Che dici, come stanno queste biblioteche? Moribonde o solo un po’ debilitate?

Sono un po’ ferme, secondo me spesso demotivate, alcune volte non si rendono conto che stare fermi è l’unico modo sicuro per non risolvere i problemi. Ma vedo comunque un sacco di spazio e di opportunità. Come sempre nella vita, dipende dalle singole persone.

6. Insisto sulle definizioni. Se dovessi scegliere tra queste opzioni: 1. Bibliotecario facilitatore; 2. Bibliotecario mediatore dell’informazione; 3. Nessuna delle due; 4. Entrambe; 5. Altro (specificare), quale casella spunteresti e perché?

A me piacciono entrambe, ma non mi fisserei. Io credo ci sia un enorme spazio in quelle definizioni, ma quello che mi piace dei bibliotecari è il loro ruolo di supporto all’apprendimento. Solo che questo ruolo di supporto si complica, diventa più sottile, complicato, si fonde e ibrida con altri ruoli: fondamentalmente, rispondere a un “bisogno informativo” credo sia parte del lavoro di un bibliotecario. Chi dice che il “facilitatore” è un ruolo da insegnante, secondo me deve chiedersi se ha lui continuerà ad avere un lavoro nel momento in cui gli insegnanti non riescono a tenere dietro da soli a gestire l’apprendimento in una società che non chiede solo agli adolescenti di imparare, ma a tutti. A gente che ha 20, 30, 50, perfino 60 anni. Ce la siamo menata con la “società della conoscenza” per anni e adesso che ce l’abbiamo affermiamo che non è il nostro lavoro mantenerla e supportarla? In un mondo che ha sempre più bisogno di imparare secondo il lavoro dei bibliotecari si moltiplica. Se sanno intercettare la domanda, è ovvio.

7. Cosa pensi dei bibliotecari? Mi spiego meglio: ci sono categorie professionali che vengono identificate con una caratteristica, spesso negativa e condivisa diffusamente (i dentisti sono esosi, i politici corrotti, i tassisti truccano il tassametro, gli insegnanti sono impreparati, gli attori egocentrici). Credi che i bibliotecari possano ancora essere ricondotti a uno stereotipo culturale o c’è un nuovo bibliotecario che tenta di rappresentare la categoria in modi alternativi rispetto al passato? Se sì, ci sta riuscendo?

Il bibliotecario che fa “shh” rimane uno stereotipo, ma ci vorrebbe pochissimo per cambiarlo. Basterebbe iniziare ad avere sale silenziose e sale in cui si può conversare. Poi mi piace molto l’idea dell’”embedded librarian”, del bibliotecario che si sposta e va a cercare i suoi utenti. Credo sia anzi una necessità, perché tante volte si dà per scontato che un utente (o un “membro della comunità”, per dirla con Lankes) conosco i nostri servizi, sappia come usarli, o addirittura sappia di averne bisogno. In questo potremmo imparare da una mentalità imprenditoriale/scientifica/startup: si fanno delle ipotesi, si testano, si cerca di non dare nulla per scontato. Come in ogni benedetta professione di questo mondo, bisogna “innovare”, evolversi rispetto a un ambiente che cambia. L’ambiente del bibliotecario è cambiato moltissimo, non vedo perché non dovrebbe cambiare anche lui. Quindi ben venga ogni tipo di sperimentazione, con corsi informatici, fablab, makerspace, ma anche cucito, cucina, o anche cose più tradizionali. Ricordo che Silvia Franchini, al Salone del Libro di Torino, raccontava del percorso fatto con le colleghe nella biblioteca di Albino (nel bergamasco) con persone che avevano appena perso il lavoro. È stato un lungo lavoro in cui bibliotecari e membri della comunità si sono dovuti conoscere a vicenda, spiegarsi a fondo, elaborare un corso insieme, con le rispettive competenze, esigenze, e feedback. In un caso del genere, un approccio tradizionale sarebbe stato inevitabilmente fallimentare. Se qualcuno ha cinquant’anni e non sa rimettersi sul mercato del lavoro, scrivergli il numero dello scaffale Dewey su un post-it riciclato non funziona.

Io credo che una biblioteca che lavora così non chiuderà mai.

8. Personalmente sono contenta di essere una bibliotecaria, e tu?

Certo che sì.

Io ho studiato matematica, e ho deciso di lavorare nel mondo delle biblioteche digitali dopo aver conosciuto Wikipedia e Wikisource, dopo la laurea. Ho fatto un master all’estero, e poi sono andato a lavorare all’Università di Bologna. È un lavoro che mi sono conquistato, ne sono assolutamente fiero.
________________________________________________________________

Andrea Zanni – zanni.andrea84(at)gmail.com – Presidente Wikimedia Italia

 

 


intervista di Lucia Antonelli – lu.antonelli(at)libero.it – Redazione AIB notizie