Information Literacy Day 2017: Partire dall’Information Literacy per reimmaginare formazione e informazione nelle biblioteche accademiche e di ricerca

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Il workshop, in considerazione dell’elevato numero di iscritti, si è articolato in 3 sottogruppi

1) Quali sono i gap che riscontriamo negli studenti; quali sono i nostri gap?
Sottogruppo condotto da Stefania Puccini

Questa conversazione non va pensata come una “critica” agli studenti/utenti né tantomeno come una auto-critica. Come va pensata allora? Sappiamo che la IL si presenta come un insieme complesso di attività che hanno a che fare con i flussi infirmativi che ci attraversano (essere consapevoli del proprio bisogno di informazione, cercarla, recuperarla, gestirla, valutarla in modo critico; utilizzarla per esprimersi in modo autorevole). In quali di questi punti (e in altri punti: disseminare, condividere in modo opportuno, usare i tool, ecc.) vediamo da parte dei nostri utenti maggiori “punti di caduta”? E da parte nostra? la formazione bibliotecaria di molti di noi, concentrata sui manufatti (cataloghi e tool) ci aiuta a leggere una infosfera informativa che tende sempre più ad essere ubiqua e pervasiva?

2) Su quali consapevolezze lavoriamo?
Sottogruppo condotto da Laura Testoni

La concezione contemporanea di IL non prevede tanto e solo l’applicazione di modalità addestrative che traguardano abilità e capacità da “conseguire”, quanto piuttosto il tentativo di sviluppare delle consapevolezze rispetto alla complessità dell’infosfera informativa. Tenuto conto dei gap nostri e degli utenti, su quali consapevolezze riteniamo sia meglio lavorare di più?
In altre parole: in che cosa riteniamo sia meglio, a partire dalla nostra esperienza personale di bibliotecari accademici, investire maggiormente per migliorare la relazione dei nostri utenti con l’informazione?
Esempio: tema dell’autorevolezza, oppure: comprendere l’informazione a partire dalla sua contestualizzazione, oppure: il valore dell’informazione in un contesto in qui tutto sembra “gratis”, oppure: il processo di ricerca in un contesto in cui parrebbe che “in un click” si possa trovare “tutto”; oppure: accrescere la consapevolezza sul tema della proprietà intellettuale – e del plagio (ecc. ecc.)

3) La didattica della ricerca documentale: quali attività laboratoriali?
Sottogruppo condotto da Alina Renditiso

Partendo dalla consapevolezza che la maniera ottimale per avvicinare gli studenti ai principali temi dell’educazione al documentarsi sia attraverso lo svolgimento di attività laboratoriali secondo la modalità del ‘learning by doing’, invitiamo il gruppo a discutere per individuare alcune tra le attività d’aula efficaci per un didattica partecipativa e coinvolgente.

Seguono ora le considerazioni espresse nell’ambito dei singoli sottogruppi

1) Quali sono i gap che riscontriamo negli studenti; quali sono i nostri gap?
(Condotto da Stefania Puccini, Sintesi a cura di Valeria Marro, Stefania Puccini, Elena Scrima)

Al workshop hanno partecipato bibliotecari provenienti da varie Università e Istituzioni quali l’Istituto Superiore di Sanità di Roma e la Fondazione “Giorgio Cini” di Venezia, afferenti a diversi ambiti disciplinari. L’obiettivo principale era individuare, analizzare, confrontare esperienze e riflettere insieme su possibili proposte per migliorare le nostre strategie e aiutare gli utenti nel rapporto complesso con l’informazione e nelle sfide continue che l’Information Literacy ci pone. L’incontro si è svolto in modo conversazionale utilizzando alcune domande guida alle quali è seguito un brainstorming collettivo.
La restituzione, senza alcuna pretesa di esaustività, si propone di favorire la condivisione e la partecipazione all’interno della nostra comunità professionale.
Chi sono i nostri utenti? Questa è stata la domanda iniziale che ha stimolato e avviato la discussione tra i partecipanti e che ha permesso di tracciare un primo identikit del pubblico che tradizionalmente frequenta una biblioteca d’Ateneo o di un Ente di ricerca.
In un primo cartellone abbiamo classificato gli utenti in quattro ‘gruppi tipo’ – studenti, laureandi, dottorandi, docenti e ricercatori – suddividendo poi ogni classe in più tipologie di utenti, caratterizzati per livello di esperienza, ruolo, abitudini, età. Nella categoria studenti, per esempio, sono confluiti le matricole, gli studenti iscritti ai corsi di Laurea triennale e magistrale, gli studenti stranieri, gli Erasmus, gli studenti 150 ore, i tirocinanti e gli iscritti ai corsi singoli.
Le tipologie di utenti sono quindi molto eterogenee con bisogni informativi, più o meno espliciti, che possono variare a seconda del contesto e della situazione contingente. Il bisogno informativo di una matricola che deve approfondire una materia di studio per affrontare un esame è, per esempio, molto diverso da quello del laureando che deve sviluppare un progetto di ricerca per la tesi.
Quali pensiamo che siano i gap informativi dei nostri utenti? Questa seconda domanda ha stimolato i partecipanti a mettere a fuoco i problemi che gli utenti incontrano nell’intraprendere un percorso di ricerca più consapevole.
Le riflessioni scaturite dal confronto sono state riportate in un secondo cartellone (v. tabella), dove sono stati elencati i gap percepiti dai bibliotecari in relazione con le varie tipologie di utenti. I bisogni informativi emersi, a volte inconsapevoli e quindi non formulati chiaramente, coprono tutte le fasi del processo di ricerca e sono trasversali a più tipologie di utenti con un livello di approfondimento differenziato.
Quali sono i nostri gap professionali? La seconda fase del lavoro ci ha poi condotti ad interrogarci sui nostri gap professionali in qualità di mediatori/facilitatori dell’informazione. Siamo partiti dall’analisi dei corsi in presenza che teniamo abitualmente per domandarci se rispondiamo ai reali bisogni informativi degli utenti. La discussione ha messo in rilievo alcune problematicità come la tendenza a fornire contenuti preconfezionati e poco centrati sull’utente, o progettare un’offerta formativa con obiettivi troppo ambiziosi rispetto al tempo a disposizione.
Non è possibile infatti realizzare tutto in un’unica sessione formativa, ma l’ideale sarebbe quello di sviluppare ed integrare sistematicamente più azioni formative a differenti livelli di approfondimento durante il percorso di studio dello studente, come suggeriscono i Framework 2015 dell’ACRL .
Risulta sempre più evidente che è impossibile considerarci i soli attori dell’Information Literacy, ma è indispensabile costruire alleanze e forme di collaborazione con i docenti e con gli stessi studenti che sono al contempo fruitori e creatori. In quest’ottica diviene ancora più importante la collaborazione e la condivisione tra colleghi, nonché il confronto e la riflessione sulle buone pratiche all’interno della comunità professionale.
È necessario acquisire nuove competenze, come quelle pedagogiche, per superare la logica del tradizionale insegnamento frontale a favore di una didattica più costruttivista che favorisca il confronto, lo scambio fra pari, lo sviluppo della capacità critica e il problem solving. I nostri utenti hanno un bagaglio che noi non conosciamo ma che non possiamo ignorare, possiamo semmai trovare dei punti di contatto con la loro esperienza per riuscire a motivarli e supportarli nell’apprendimento.
Da qui l’idea di provare a rimodulare unità didattiche con obiettivi di apprendimento mirati e contestuali muovendo dalla dimensione esperienziale dell’utente.
È importante valorizzare l’acquisizione di competenze che siano spendibili non solo durante il percorso universitario ma anche nella vita quotidiana, nel lavoro, nello sviluppo professionale e personale. Essere information literate è uno dei presupposti per l’apprendimento permanente e per il diritto di cittadinanza, la base della democrazia.
Un altro nostro gap è quello di essere troppo bibliocentrici. Per noi bibliotecari è naturale avere come riferimento privilegiato le risorse messe a disposizione dall’Istituzione: il catalogo, il discovery o la banca dati disciplinare, al contrario dei nostri utenti che possono avere abitudini diverse. Molti laureandi, dottorandi, ricercatori, per esempio, preferiscono usare Google Scholar. Come dargli torto, dato che nella maggior parte dei casi riesce a soddisfare le loro esigenze? Google Scholar può rappresentare un ottimo punto di partenza per comparare diversi strumenti informativi, valutandone le differenze, i pro e i contro e chiarendo che spesso i contenuti full text sono resi disponibili grazie alle politiche di acquisto adottate dalle diverse istituzioni.
Il nostro punto di vista, sempre centrato sulla biblioteca, rischia di portarci inoltre a sottovalutare i canali alternativi che le comunità professionali creano e utilizzano, nonché gli strumenti che favoriscono la visibilità e la condivisione dei risultati della ricerca, come le piattaforme social Academia.edu e ResearchGate particolarmente frequentate da docenti, ricercatori e dottorandi.
Possiamo cambiare punto di vista? Il confronto è proseguito cercando di fare uno sforzo di immaginazione per metterci nei panni dei nostri utenti. Pensiamo al laureando alla vigilia della tesi che non ha alcuna esperienza di ricerca bibliografica: è confuso, smarrito e ha fretta di concludere, non conosce o usa poco la biblioteca, non ha ancora un argomento ben definito e comincia ad accumulare informazioni su informazioni senza sapere da che parte iniziare. Come andare incontro ai suoi bisogni e interessi? Ipotizziamo che utilizzi solo Google e Wikipedia: piuttosto che demonizzare questi strumenti possiamo sfruttarli per indagare il suo modus operandi ed avvalercene come aggancio per presentargli risorse alternative più efficaci. Non esistono infatti soluzioni uniche ma ne esistono molteplici, ognuna con dei pro e contro. L’obiettivo è quello di arricchire il panorama conoscitivo del nostro utente, restituendogli la complessità dell’ecosistema informativo e fornendogli contemporaneamente alcuni punti di riferimento cui ricorrere in base alle necessità del momento. Abbiamo provato ad immedesimarci anche nei problemi di altre categorie di utenti sviluppando solo in parte la discussione e rimandando l’approfondimento per il poco tempo disponibile.
Conclusioni. Il workshop ci ha aiutato a prendere coscienza dei nostri gap e a capire quanto questa consapevolezza sia importante per orientare la formazione continua e l’autoformazione volte a colmare le nostre lacune sull’Information Literacy. Ma quali sono oggi le opportunità di formazione per i bibliotecari? Quali sono le competenze necessarie? Dobbiamo coltivare un atteggiamento che metta «al centro il “perché” piuttosto che il “come-si-fa”» . Durante la conversazione è stata evidenziata l’esigenza di creare a livello nazionale un curriculum flessibile e condiviso che possa rappresentare un modello di riferimento adattabile agli specifici obiettivi delle varie Istituzioni. Molti Sistemi bibliotecari si limitano ai corsi di aggiornamento sulle nuove release dei software gestionali o sulle risorse elettroniche di recente acquisizione, senza puntare sull’Information Literacy come piano strategico all’interno della vision istituzionale e senza valorizzare il ruolo del bibliotecario come mediatore e facilitatore dell’informazione.
L’Associazione Italiana Biblioteche ricopre un ruolo fondamentale per l’offerta formativa e per il coordinamento di nuovi progetti anche con altri partners, promuovendo il confronto continuo all’interno della nostra comunità professionale.

Nella tabella che segue, alle categorie di utenti vengono attribuiti dei numeri per semplificarne l’identificazione secondo la seguente legenda:
Matricole e studenti = 1
Laureandi (Laurea Triennale e Laurea Magistrale) = 2
Dottorandi = 3
Docenti e ricercatori = 4

 Azioni

Gap percepiti dai bibliotecari

 

Utenti

 

 

 

 

 

 

Cercare

Non sfruttare pienamente le risorse che i sistemi bibliotecari mettono a disposizione 1, 2, 3, 4
Avere difficoltà ad individuare il focus dell’argomento 1, 2
Usare prevalentemente Google e gli altri sistemi informativi con la stessa logica e talvolta in maniera non consapevole 1, 2
Non utilizzare strategie di ricerca avanzate 1, 2
Utilizzare poco le banche dati disciplinari 2, 3, 4
Non sfruttare l’indicizzazione semantica e i vocabolari controllati propri delle risorse (CDD, thesauri, etc.) 2, 3, 4
Sottovalutare l’importanza dell’identificazione univoca (orcid e authority file) 3, 4
 

 

 

Usare

Non distinguere le diverse tipologie di documenti 1, 2
Non distinguere l’informazione scientifica dall’informazione divulgativa 1, 2
Conoscere poco l’organizzazione e i servizi della biblioteca 1, 2, 3, 4
Non conoscere il linguaggio specialistico disciplinare 1, 2
Non distinguere fra citazione e parafrasi 1, 2
 

Valutare

Avere scarsa capacità di valutazione e non sapere giudicare l’autorevolezza delle fonti 1, 2
Esitare nella scelta delle riviste e nel calcolo dell’Impact Factor (Bibliometria, Altmetrics) 3, 4
 

 

Gestire

Avere difficoltà a redigere una bibliografia secondo uno stile citazionale 1, 2
Avere difficoltà a gestire e organizzare le informazioni 1, 2
Non sapere strutturare un elaborato scientifico 1, 2
Tendere al copia/incolla (etica, plagio) 1, 2
Avere poca tutela della propria privacy 1, 2
 

 

Comunicare

Non considerare i problemi legati alle strategie editoriali (diritto d’autore e licenze editoriali) 3, 4
Mostrare poca attenzione alla filosofia dell’open access 3, 4
Non saper promuovere la visibilità dei prodotti scientifici (uso metadati) 3, 4
Non curare la reputazione online 1, 2
 

Condividere

Non saper usare i software per la gestione dell’informazione e dei dati bibliografici (bibliografie, condivisione, collaborazione) 2, 3, 4
Non sapere utilizzare i social network come strumenti di lavoro 1, 2, 3, 4

2) Su quali consapevolezze lavoriamo?
Condotto da Laura Testoni

Si rammentano le premesse che sottendono il brainstorming: non si tratta di articolare alcuna “critica” alle attività o alla competenza informativa di studenti e utenti delle biblioteche accademiche quanto piuttosto di comprendere quali sono “i punti di caduta” ovvero i temi sui quali può essere possibile lavorare di più e meglio.
Come naturale le osservazioni emerse, che si riportano di seguito, in alcuni casi eccedono il tema oggetto del brainstorming ma si ritiene opportuno comunque riportarle come spunti verso gli altri gruppi di lavoro.
Dai partecipanti viene osservato che:

  • Esistono delle lacune a partire dal riconoscimento, da parte degli studenti, dei principali oggetti documentali: spoglio, bibliografia, articolo: sarebbe necessario un approccio di sistema e di Ateneo.
  • Il riconoscimento delle fonti da parte degli studenti è complesso anche in relazione al fatto che sovente i docenti stessi propongon, nella didattica e nelle esercitazioni, oggetti documentali decontestualizzati, come ad esempio link a capitoli di libri o a documenti diversi granulari.
  • Manca una consapevolezza sul copyright e di conseguenza sulle pratiche di plagio (“copia e incolla”) sovente praticate con naturalezza e senza essere consapevoli di compiere una attività non corretta.
  • Manca consapevolezza sul fatto che “l’informazione ha valore” e che non tutto quello che è su internet è gratuito e utilizzabile.
  • È necessario lavorare di più sull’esposizione dei servizi informativi che la biblioteca offre migliorando ad esempio le pagine web, che dovrebbero essere più “esplicative”, ed eventualmente più omogenee tra dipartimenti.
  • È necessario mettere in maggiore relazione docenti e bibliotecari tenendo conto delle rispettive competenze, intensificando la presenza delle biblioteche nelle piattaforme di e-learning

3) La didattica della ricerca documentale: quali attività laboratoriali?
(Condotto da Alina Renditiso, sintesi a cura di Luisella Zocca)

Compito del terzo sottogruppo composto da colleghi delle biblioteche accademiche e di ricerca presenti a IL-day 2017, è stato quello di condividere e discutere l’efficacia delle diverse tipologie di attività didattiche e di laboratorio che vengono svolte dal bibliotecario-formatore nelle varie realtà rappresentate.

Presupposti comuni della discussione sono stati: l’identificazione dell’utente, la scelta della modalità di erogazione dell’attività, la definizione degli obiettivi da conseguire, il ruolo e competenze del bibliotecario-formatore.

L’utente tradizionalmente inteso nel contesto delle biblioteche accademiche è lo studente, al quale andranno rivolte, nella dinamica del corso di studi, attività formative diversificate fra matricole e laureandi, studenti di corsi di laurea a ciclo unico o triennali/magistrali fino ai corsi estremamente specializzati per dottorandi, che prevedono progettazioni differenziate più o meno integrate negli ordinamenti universitari (moduli base, moduli avanzati, moduli speciali).
Per le casistiche presentate, la scelta della modalità di erogazione (MOOC, lezioni frontali, corsi misti e-learning/in presenza, corsi con assegnazione crediti etc.) varia a seconda dell’organizzazione della struttura: l’uso di corsi aperti su larga scala è preferito laddove il sistema bibliotecario o il dipartimento ha in qualche modo riconosciuto un valore formale di obbligatorietà alla frequentazione, ad esempio come prerequisito per la domanda di laurea. L’alto numero di studenti coinvolti richiede necessariamente di orientarsi verso la modalità del MOOC, per ottimizzare ore di formazione e risorse umane. Nel caso in cui invece si opti per utilizzare una piattaforma e-learning (ad es. Moodle) è possibile validare l’apprendimento attraverso la somministrazione di test finali, ma d’altro canto questa modalità non permette la stessa flessibilità che consente la didattica in presenza e non facilita la condivisione del lavoro di gruppo.
Più ristretto è il numero dei partecipanti e/o più specifica e riferita ad uno specifico ambito disciplinare è l’attività formativa più si tende ad utilizzare la lezione frontale, alternandola con esercitazioni ed attività di gruppo. Le lezioni frontali sono la scelta più diffusa quando il corso attribuisce crediti formativi e sono condotte da un subject librarian che lavora a stretto contatto con biblioteche e strutture dipartimentali.
Effetto positivo e non secondario delle reti di interazioni con gli studenti e con le strutture accademiche non bibliotecarie è il rafforzamento del ruolo professionale e della figura del bibliotecario.
Poiché in biblioteca non si è giudicati e la biblioteca non giudica, i presenti hanno posto attenzione su cosa si debba intendere con valutazione.
Entrando nel merito del focus del tema da discutere, e collegato alla problematica della valutazione dell’apprendimento, Alina Renditiso ha illustrato uno strumento utilizzato in alcuni corsi presso Università di Bologna, da lei ritenuto particolarmente interessante. In alcuni laboratori sulla ricerca bibliografica si chiede agli studenti di compilare il “diario della ricerca” come fase finale di una lezione o di un ciclo di lezioni: lo studente deve riportare nel diario il quesito di ricerca, le parole chiave utilizzate, le principali fonti consultate, i primi dieci documenti ritenuti più pertinenti tra quelli recuperati e di tre di questi fornire un abstract, ma soprattutto descrivere la logica che ha seguito nel proprio percorso di ricerca. Come si può notare, l’elaborazione di questa attività implica un processo di auto-riflessione su come si è agito. Normalmente le attività in aula vengono svolte in gruppo e anche la redazione del diario della ricerca può essere fatta in gruppo o individualmente. Quello che può essere didatticamente interessante e utile, è chiedere allo studente di illustrare la logica che ha seguito e le eventuali difficoltà riscontrale a tutta la classe per poter poi stimolare una discussione collettiva, mostrando in itinere le possibili alternative al percorso seguito.
Chi fosse interessato ad approfondire l’utilizzo di questo strumento, o eventualmente esplorarne anche altri, può consultare il capitolo 5: La metodologia didattica, delle Linee guida sui corsi IL che il gruppo di lavoro ‘Information Literacy’ dell’Università di Bologna ha redatto utilizzando un wiki, accessibile agli esterni in sola lettura.
È stato fatto presente in più occasioni che ‘apprendere’ la metodologia della ricerca documentale, passa necessariamente per una forma di apprendimento esperienziale, che parte dall’esplorazione di un caso concreto, per arrivare, attraverso fasi successive di concettualizzazione, alla definizione del quesito di ricerca che ci orienterà nella scelta delle fonti e nella selezione dei risultati pertinenti.
La figura del bibliotecario-formatore è stato un altro dei temi discussi. La trasformazione della figura di bibliotecario catalogatore/bibliotecario di reference in bibliotecario-formatore è conseguenza dello sviluppo del sistema universitario, della trasformazione dell’offerta formativa e della valutazione della ricerca e quindi parallelamente dell’erogazione di servizi nelle biblioteche accademiche.
Estraneo ai corsi di laurea in biblioteconomia e archivistica tradizionali questo percorso di formazione e talvolta di autoformazione viene intrapreso a posteriori con corsi dedicati a chi è già bibliotecario di reference e mostra particolare predisposizione al ruolo. I presenti hanno manifestato l’esigenza che diventi un’attività di formazione specifica e di apprendimento permanente e che venga data collocazione nuova e definita del bibliotecario- formatore nell’ambito dell’espansione dei servizi delle biblioteche accademiche.


Alina Renditiso, Laura Testoni, Valeria Marro, Stefania Puccini, Elena Scrima, Luisella Zocca