Cultura, libri e biblioteche in alcuni film in uscita

Sono diversi i film in uscita, o già usciti, al cinema che abbiamo potuto vedere in anteprima al 37. Torino Film Festival e che hanno come tema centrale, o comunque significativo, il libro e la biblioteca. In particolare, diverse opere cinematografiche recenti presentano una riflessione sul ruolo della cultura nei regimi totalitari che, come sappiamo, si caratterizzano per i tentativi di distruzione e delegittimazione di una delle armi più potenti per contrastarli, il libro appunto. Proviamo a raccontarli.

E’ già nelle sale L’inganno perfetto (The Good Liar, Usa 2019), tratto dal romanzo omonimo di Nicholas Searle. Il film ha come protagonisti gli strepitosi Helen Mirren e Ian McKellen nei panni di Betty McLeish, un’insegnante in pensione e vedova, e Roy Courtnay, che dietro l’apparenza di un’esistenza normale nasconde un’attività di truffe e inganni. I due si incontrano e cominciano a frequentarsi, con la disapprovazione del nipote di lei che non vede di buon occhio la relazione. Betty scoprirà nel corso del racconto la vera personalità di Roy, il suo passato nella Germania nazista, fino a un sorprendente ribaltamento finale. Per cercare di far confessare il suo passato a Roy, Betty lo convince a fare un viaggio a Berlino dove, visitando un museo, si trovano di fronte a un’opera che raffigura un rogo di libri. La Bücherverbrennungen era una pratica molto frequente durante il Nazismo con la quale si distruggevano i libri considerati contrari al regime, in particolare è ben noto il rogo nella Bebelplatz di Berlino il 10 maggio 1933. Il nipote di Betty nel film cita la nota frase di Heinrich Heine “là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”.

Uscirà il 16 gennaio l’imperdibile Jojo Rabbit (Usa/Germania, 2019), tratto dal libro Caging Skies di Christine Leunens, per la regia di Taika Waititi, una satira tagliente sul nazismo, interpretata da Roman Griffin Davis, un ragazzino di undici anni alla sua prima prova di attore e già nominato ai Golden Globes. Il punto di vista del film è quello del suo personaggio, Jojo, un bambino che vive nella Vienna del 1945 con la madre (interpretata da Scarlett Johansson) e si prepara a diventare un nazista perfetto frequentando la scuola di addestramento. Jojo ha un amico immaginario, Adolf Hitler. Nella scuola di addestramento, tra le varie esercitazioni a cui Jojo partecipa non senza qualche dubbio e difficoltà, c’è un’attività ludica, il rogo dei libri. Jojo poi conosce una ragazzina ebrea poco più grande di lui e le sue certezze inculcategli dall’ideologia nazista cominciano a venire meno, anche grazie ai libri. La ragazza, di cui Jojo finisce per essere un po’ innamorato, gli rivela che il suo fidanzato, Nathan, amava lo scrittore Rainer Maria Rilke e quindi Jojo va in biblioteca per cercare un libro su Rilke. Il suo amico immaginario Adolf però disapprova e gli dice che non dovrebbe farlo poiché “le biblioteche sono stupide”. E’ un film in cui si ride tantissimo, ma si riflette anche sulle tragedie del Nazismo, e in fondo di tutti i regimi.

Il tema dei fascismi e delle dittature è anche il soggetto del nuovo film di Alejandro Amenábar, ambientato durante il Franchismo, la dittatura spagnola protrattasi dal 1939 al 1975. In Mientras dure la guerra (Spagna/Argentina, 2019) Amenábar racconta l’ascesa del Franchismo attraverso il personaggio di Miguel de Unamuno (1864-1936), scrittore, poeta, filosofo, docente di greco e lettere classiche e Rettore dell’Università di Salamanca. Il professor Unamuno nel film, proprio come avvenne nella realtà, inizialmente non comprende appieno le implicazioni di quello che appare come una ventata di novità, un ritorno all’ordine dopo il caos della guerra civile, e sostiene e finanzia il partito falangista del generale Francisco Franco. Capirà, e ne pagherà le conseguenze, più avanti, vedendo i suoi amici contrari al regime sparire e assistendo all’escalation di violenza e brutalità dei militari. E’ molto interessante come il punto di vista attraverso il quale il regista cileno (ma spagnolo d’adozione) filtra le vicende sia proprio quello della cultura. Man mano che Don Miguel capisce le vera natura del regime franchista, il divario si fa più ampio tra lui, intellettuale che vorrebbe cambiare il mondo con la cultura (come gli viene detto nel film) e il generale Franco che Amenábar descrive come una persona poco intelligente, quasi un burattino nelle mani di poteri forti, persino ridicolo, proprio per accentuare tale divario. Un altro monito lanciato dal regista è il pericolo del silenzio della cultura di fronte agli eventi. Gli amici e colleghi di Unamuno lo invitano a prendere posizione pubblicamente contro il regime, cercando gli fargli capire come si tratti di un fascismo del tutto simile a quello in corso in Germania e in Italia, ma Don Miguel non lo fa. Solo quando comincia a capire, quando i suoi amici non ci sono più, si rende conto con dolore della situazione reale e del suo errore, e durante un discorso pubblico nell’aula magna dell’università, che definisce “il tempio dell’intelligenza”, lancia un’accusa pronunciando la celebre frase “vencer no es convencer”, vincere non significa convincere, aggiungendo che per convincere bisogna persuadere e – rivolgendosi all’uditorio di militari – “voi non potete farlo perché non siete dalla parte della ragione e del diritto ma usate solo la forza”. Sarà comunque troppo tardi per cambiare il corso di una dittatura che durerà ben 36 anni.

Con molta probabilità non uscirà nelle sale, se non per pochi giorni, poiché i diritti esclusivi sono stati acquisiti da Netflix, ma sarà disponibile tramite il servizio di streaming digitale, il film El Hoyo (Spagna, 2019, noto anche con il titolo inglese di The Platform) del regista basco Galder Gaztelu-Urrutia. Un’opera a metà tra fantascienza e horror, imponente, allucinata e geniale. In un futuro distopico in cui le risorse del pianeta sono ormai esaurite, le persone possono volontariamente farsi rinchiudere nel Hoyo (il Buco), un pozzo profondissimo suddiviso in centinaia di piani su ognuno dei quali stazionano due reclusi. Al centro di ogni piano c’è un buco che viene attraversato periodicamente da una piattaforma su cui è disposto del cibo che si ferma due minuti per ogni piano. Durante i due minuti i reclusi mangiano quello che riescono e soprattutto quello che è avanzato dai piani sotto. Ogni trenta giorni la posizione dei detenuti cambia, possono ritrovarsi a un piano inferiore o a un piano superiore, in base al comportamento che hanno avuto, e quindi con maggiori o minori possibilità di cibarsi. Il lato animalesco degli esseri umani in queste condizioni non tarda ovviamente ad emergere. Chi entra nel Buco può portarsi un solo oggetto a sua scelta. Il protagonista del film, Goreng, decide di portare con sé un libro, Don Chisciotte della Mancia, capolavoro di Miguel de Cervantes Saavedra. Il Don Chisciotte racconta le vicende del cavaliere errante Alonso Chisciano e della sua lotta contro le ingiustizie e le oppressioni, aiutato dal fido Sancho Panza. Questo è il ruolo che Goreng assumerà nel sistema del Hoyo, con l’aiuto del suo Sancho Panza, il veterano Trimagasi. Il film è in realtà una potente metafora della nostra società, con le sue ingiustizie, diseguaglianze, intolleranze e violenze, avviata su un cammino che porta verso l’esaurimento delle risorse del pianeta. È significativo che il tentativo di cambiare questa società venga affidato alla cultura, rappresentata dal libro che Goreng ha portato con sé e che si dimostrerà utile in diverse occasioni, più utile degli altri oggetti, comprese le armi. Soprattutto è proprio Goreng l’unico che prova a cambiare l’ordine delle cose, a sovvertire l’organizzazione del Hoyo, che peraltro evoca i gironi infernali danteschi, a credere che ci potrebbe essere un sistema più equo di distribuzione del cibo e una possibile via di fuga.

Rossana Morriello

Nota: Le immagini seguenti sono tratte dalla cartella stampa del Torino Film Festival.

El Hoyo
Jojo Rabbit
Mientras dure la guerra