L’Eco dei libri. Divagazioni semiserie tra libri e biblioteche negli scritti di Umberto Eco

Umberto Eco

Umberto Eco

Il 19 Febbraio scorso si è spento a 84 anni Umberto Eco, scrittore, filosofo, critico letterario, saggista e semiologo: vogliamo ricordarlo nella sua veste di estimatore e al contempo severo critico del mondo librario e bibliotecario, con una serie di “echi” sul tema libri e biblioteche, tratti dai sui scritti, narrativi e saggistici.[1]

 

Le biblioteche per cui più volentieri si ricorda Umberto Eco sono quelle da lui consegnate all’immaginario collettivo attraverso la sua letteratura. Nel Nome della rosa, con l’immagine labirintica della biblioteca (e non si dimentichi che Dedalus fu il suo pseudonimo sulle pagine del “Manifesto”, omaggio al costruttore di labirinti archetipico), l’autore ci regala un luogo potentissimo di fascinazione simbolica, in cui si incrociano i destini degli uomini e delle istituzioni, l’autorità della tradizione, l’ansia e i pericoli della conoscenza; mentre è nel “repositorio del sapere universale” della “biblioteca di San Vittore, dove passava lunghe mattinate, rubate alle lezioni”, che Baudolino attinge le conoscenze che gli consentono di falsificare mezza storia d’Occidente (Baudolino). La misteriosa fiamma della regina Loana ci porta invece in una biblioteca privata, dove i libri, come “geni nella bottiglia”, attendono la “libertà” che solo il lettore può dargli, appunto leggendoli. Privata o pubblica, è labirintica la biblioteca di Eco perché “è un repositorio dove al limite tutto si confonde e genera una vertigine, un cocktail della memoria dotta” (Leggo dunque sono). E non è certo un caso che Eco abbia pubblicato un suo contributo in un volume fotografico dal suggestivo titolo Il fascino delle biblioteche.

Dalla biblioteca tradizionale ci spostiamo alle attuali biblioteche digitali, considerate da Eco come “un lavoro di ricerca in collaborazione sotto il controllo di qualcuno. Non è la saggezza della folla. È semplicemente la moltiplicazione e la semplificazione di un lavoro di ricerca collettivo che una volta richiedeva immondi spostamenti e ora si fa in linea giorno per giorno. È una cosa favolosamente interessante, ma non stupefacente. È come dire che il telefonino ha permesso enormi sviluppi rispetto al telefono fisso perché posso continuare a lavorare anche se sono seduto davanti a una panchina al parco” (Intervista a Umberto Eco, 2010). Nessuna enfasi particolare, dunque, nemmeno sulle enciclopedie collaborative, sebbene Eco si dichiarasse “utente compulsivo di Wikipedia, anche per ragioni artrosiche: quanto più mi fa male la schiena, quanto più mi costa alzarmi ed andare a cercare la Treccani […]. Non riuscirei a vivere senza, ma questo non mi impedisce di dire quali sono tutti i difetti e tutti i guai” (Intervista a Umberto Eco, 2010).

Quanto alle novità dell’e-book, anche queste ad Eco sembravano relative: “L’umanità è andata avanti per secoli leggendo e scrivendo su pietre, poi su tavolette, poi su rotoli, ma era una fatica improba. Quando ha scoperto che si potevano rilegare tra loro dei fogli, se ancora manoscritti, ha dato un sospiro di sollievo. E non potrà mai più rinunciare a questo strumento meraviglioso. La forma-libro è determinata dalla nostra anatomia” (da una Bustina di Minerva, 1994). Ironicamente si augurava che il libro elettronico prevalesse: “la mia personale biblioteca, che conta circa cinquantamila volumi, compresi gli albi di Topolino, diventerebbe così un reperto archeologico e i miei eredi potrebbero venderla per alcuni miliardi.” (Ciò che nell’universo si squaderna). Certo, considerava “una grande comodità viaggiare con una chiavetta che contiene tutta la mia biblioteca, però l’unica garanzia del fatto che l’informazione si conservi sta ancora nel libro cartaceo” ([Intervista a Umberto Eco], 2011). Inoltre, le caratteristiche della lettura su uno schermo anziché su una pagina di carta gli sembravano tali da garantire al libro di restare “indispensable not only for literature, but for any circumstance in which one needs to read carefully, not only to receive information but also to speculate and to reflect about it” (Afterword, in The future of the book). Perché, in fondo, “Il libro è come la ruota. Una volta inventato, non si può fare di più” (Non sperate di liberarvi dei libri).

A dirla tutta, nei confronti delle biblioteche istituzionali Eco non fu sempre tenero, vivendo talvolta con fastidio il frapporsi di una figura professionale tra sé e i libri. Indimenticabile, su tutti, il contro-decalogo della biblioteca “incubatica” (sono parole sue) che, riprendendola da Borges, riadattò nel brano De Bibliotheca; oppure l’evocazione di biblioteche di conservazione quali “vetusti palazzi dove gli inservienti sono di solito mutilati del braccio destro e dell’occhio sinistro, e cadono quando si inerpicano sulle scalette che portano alle sezioni dei libri rari” (Come fare le vacanze intelligenti). Tra i gustosi ritratti di ricercatori, di librai, di bibliofili e di bibliomani che Eco ci ha lasciato, rivendicando “all’andar per libri la dignità di un duro lavoro” (Per chi ama i libri), il lavoro del bibliotecario viene invece criticato, beninteso quando è svolto senza criterio: “La biblioclastia per incuria è quella di tante biblioteche italiane, così povere e così poco curate che non di rado diventano luoghi di distruzione del libro; perché c’è un modo di distruggere i libri lasciandoli deperire o facendoli scomparire in penetrali inaccessibili” (Leggo dunque sono).

Ma quali erano, invece, le idee ‘biblioteconomiche’ di Eco, quelle che più o meno inconsapevolmente lo avvicinavano, da utente espertissimo qual era, ai concetti di base della professione bibliotecaria? Proviamo a saggiarne qualcuna.

Per cominciare, la prima legge di Ranganathan, Books are for use: “Il bene di un libro sta nell’essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto” (Il nome della rosa).

L’importanza di avere una raccolta consona alla mission della biblioteca: “Una biblioteca non si limita a raccogliere i tuoi libri, li legge anche per conto tuo” (da una Bustina di Minerva, 1998).

La centralità della mediazione bibliotecaria, soprattutto in tempi di information overload: “Una volta un tale che doveva fare una ricerca andava in biblioteca, trovava dieci titoli sull’argomento e li leggeva; oggi schiaccia un bottone del suo computer, riceve una bibliografia di diecimila titoli, e rinuncia” (da una Bustina di Minerva, 2000).

E ancora, la funzione del catalogo come strumento bibliografico: “Uno dei malintesi che dominano la nozione di biblioteca è che si vada in biblioteca per cercare un libro di cui si conosce il titolo. In verità accade sovente di andare in biblioteca perché si vuole un libro di cui si conosce il titolo, ma la principale funzione della biblioteca […] è di scoprire dei libri di cui non si sospettava l’esistenza, e che tuttavia si scoprono essere di estrema importanza per noi” (De Bibliotheca).

Questa idea sconfina però nell’altra, quasi opposta, della serendipity della ricerca libraria: “la funzione ideale di una biblioteca è di essere un po’ come la bancarella del bouquiniste, qualcosa in cui si fanno delle trouvailles“; e tuttavia il cerchio si chiude in un elogio dello scaffale aperto, soluzione che consente di “esplorare degli scaffali che magari riuniscono tutti i libri di un certo argomento […], e trovare accanto al libro che si era andati a cercare un altro libro, che non si era andati a cercare, ma che si rivela come fondamentale” (De Bibliotheca).

Sappiamo che il professor Eco considerava “ovvietà” i titoli basati sui giochi di senso a partire dal suo cognome, come è appunto il nostro; sappiamo però anche che riconosceva a chi vi cadeva “una certa freschezza di spirito, un entusiasmo per la vita e la sua imprevedibilità, un amore per le idee – per piccole che siano” (Come giustificare una biblioteca privata): caratteristiche che, ne siamo certi, non gli erano estranee. Speriamo che gli estimatori e gli affezionati ci perdonino questo divertissement scanzonato e affettuoso in suo ricordo; ci piace immaginarlo mentre lo legge nell’infinita, vertiginosa biblioteca che sicuramente lo ha accolto: una biblioteca che “non è solo il luogo della tua memoria, dove conservi quel che hai letto, ma il luogo della memoria universale, dove un giorno, nel momento fatale, potrai trovare quelli che altri hanno letto prima di te” (Leggo dunque sono); una biblioteca che “è forse ciò che esiste di più simile alla mente di un Dio onnisciente” (Ciò che nell’universo si squaderna); una biblioteca che ci avvicina all’immortalità: “un libro ci consente di vivere più e più intensamente di quelle poche decine di anni che la biologia ci consente. Rispetto a chi non legge io sono più vecchio di Matusalemme” (Leggo dunque sono).

 


 

Chiara De Vecchis, Lucilla Less, Manuela La Rosa – CER AIB Lazio – lazio(at)aib.it

 

 


 

[1]   Il nome della rosa, Milano, Bompiani, 1980, pp. 79-91. De Bibliotheca, intervento in occasione delle celebrazioni dei 25 anni di attività della Biblioteca Comunale di Milano nell’attuale sede di Palazzo Sormani, 10 marzo, 1981. Per chi ama i libri vecchi, prefazione a Claudio M. Messina, Guida ragionata alle librerie antiquarie e d’occasione d’Italia, 1989, Biblioteca del Vascello – Stampa Alternativa, 1988, pp. 8-9 (già in “L’Espresso”, 23 agosto 1987). Come fare le vacanze intelligenti, pp. 75-76, e Come giustificare una biblioteca privata, pp. 139-140, in Il secondo diario minimo, Milano, Bompiani, 1992. Afterword, in The future of the book, edited by Geoffrey Nunberg, Berkeley, Los Angeles, University of California Press, 1996, pp. 295-306, cit. p. 300. Baudolino, Milano, Bompiani, 2000, cap. 6: Baudolino va a Parigi, pp. 68-82. La bustina di Minerva, Milano, Bompiani, 2000. Il fascino delle biblioteche, Torino, Allemandi, 2002. La misteriosa fiamma della regina Loana, Milano, Bompiani, 2004, p. 129. Leggo dunque sono. Le avventure del bibliofilo più famoso d’Italia, estratto della «lectio magistralis» Avventure di un bibliofilo tenuta al Lingotto di Torino per l’apertura della Fiera del Libro, 10 maggio 2007. Jean-Claude Carrère – Umberto Eco, Non sperate di liberarvi dei libri, Milano, Bompiani, 2009, p. 108. Ciò che nell’universo si squaderna, “L’Espresso”, 6 novembre 2014.

 

(Foto di copertina con licenza Creative Commons. Da filosoφicamente http://www.filosoficamente.org/maurizio-ferrari-su-eco-e/)