Henry Jenkins

Nel mese di luglio 2012 Roma ha ospitato per la prima volta Henry Jenkins1, guru statunitense della fan culture, transmedialità e new media literacy. Jenkins insegna all’University of Southern California ed è co-direttore del Comparative Media Studies Program del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston.
L’Italia è stata l’ultima tappa di una maratona accademica durata un mese, nella quale ha visitato ventotto città di dodici paesi europei e ha partecipato a più di trenta incontri. Henry Jenkins è un comunicatore formidabile che si trova a suo agio davanti ad audience molto diverse. A Roma, l’esperto è stato protagonista di tre iniziative; un incontro co-organizzato dall’Istituto Europeo di Design, Cross-media, l’Ambasciata Americana in Italia e la Regione Umbria (http://www.ied.it/roma/blog/henry-jenkins-perla-prima-volta-a-roma/37814) una puntata del programma radiofonico Fahrenheit di RAI3 (http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-c8cefbcc-11fd-
4879-b148-9af8a5da77c4.html) e, infine, una live video webchat del Dipartimento di Stato americano (http://conx.state.gov/event/transmedia-generation-spreadablemedia-fan-activism-and-participatory-culture/). In queste tre occasioni, Henkins ha illustrato le sue teorie muovendosi fluidamente tra personaggi della cultura popolare dei comics, come Spiderman, Superman o gli Zombies, e grandiose opere pittoriche come la Cappella Sistina nello Stato Vaticano.
Con questi e altri esempi poco convenzionali, Jenkins ha voluto illustrare come da una parte i mezzi di comunicazione cambino forma e, dall’altra, gli stessi contenuti si modellino in funzione dei media. Questo nuovo modo di raccontare, popolare soprattutto tra i più giovani, si compone di contenuti che non si esprimono su un unico mezzo, ma si sviluppano in diversi spazi. Le storie passano da un medium all’altro, trasformandosi da fiction a fumetto a video virale, per poi finire nelle mani dei fan o utenti che scrivono fan fiction, parodie o mash-up in cui i contenuti vengono di nuovo rimescolati. Nelle idee originali di Jenkins ci sono degli spunti di fondamentale interesse per le biblioteche. Il guru racconta che una delle ragioni che vent’anni fa lo spinsero a traslocare alla città di Los Angeles per studiare, fu la possibilità di poter consultare le collezioni delle biblioteche e gli archivi dell’University of Southern California (USC), University of California (UCLA) e American Film Institute.
Probabilmente è grazie alla ricchezza e all’apertura delle collezioni di queste biblioteche, che oggi possiamo ascoltare la ricca sorgente di idee innovative sulla cultura che Jenkins promuove con passione. Secondo Jenkins, le biblioteche non devono temere la nascita di nuove piattaforme editoriali e formati del libro come ad esempio l’e-book. Piuttosto, abbiamo bisogno di persone creative che esplorino cosa può fare l’e-publishing per aumentare la capacità degli autori di trasmettere idee e informazioni in nuovi e potenti modi, arricchendo la carta stampata e includendo un’ampia serie di altre funzioni che permettano ai lettori di vivere il processo di lettura in modi finora sconosciuti. In questa prospettiva, Jenkins guarda con particolare attenzione ai giovani, sfidando la presunzione che essi siano civicamente e politicamente disimpegnati. Attraverso storie come quella di Jose, che utilizza Facebook per lottare contro l’isolamento sociale che prova quando pubblica le foto dei suoi disegni solo online e non sui social media; o di Sammy, un’aspirante produttrice cinematografica che pur non avendo soldi per comprarsi una macchina HD, produce un breve documentario di grande successo sulle lotte degli studenti immigrati illegalmente; o di “El Random Hero”, un avido blogger che si reca in biblioteca per accedere a Internet perché a casa non può permettersi un collegamento, Jenkins ci racconta di una gioventù che utilizza i new media per superare, piuttosto che soccombere, alle barriere che li separano dalla sfera politica della società, confermando così l’impatto positivo che i new media possono avere sulla capacità dei giovani di partecipare attivamente nella vita della comunità.
Ed è a questo punto che Henry Jenkins chiama in gioco i bibliotecari, soprattutto quelli scolastici, perché diventino un ponte tra l’apprendimento informale tipico della cultura partecipativa e l’apprendimento formale che ha luogo nelle aule delle scuole. Jenkins invita i bibliotecari scolastici a insegnare new media literacies insieme e non invece delle competenze tradizionali come leggere e scrivere. Attraverso quest’opera di collegamento tra l’apprendimento formale e quello informale, i bibliotecari possono da una parte aiutare i giovani a colmare il divario partecipativo e, dall’altra, rimanere membri vitali delle istituzioni educative e culturali.
È fondamentale, dunque, identificare quali sono le competenze cross-mediali di cui i giovani hanno bisogno per navigare con efficacia il nuovo panorama dell’informazione digitale. Occorre sviluppare strategie che integrino con efficacia queste competenze nei curricoli didattici. Nelle parole di Max Giovagnoli, primo trans media producer in Italia e convinto sostenitore dell’introduzione dei nuovi media nell’istruzione (Giovagnoli coordina infatti i programmi didattici dell’Istituto Europeo di Design, noto per le sue eclettiche produzioni cross-mediali), «fare transmedia significa ideare forme di racconto distribuite su più media simultaneamente e capaci di mutare in base al linguaggio e al pubblico di ciascuno di essi. Trasformare prodotti creativi in grandi universi partecipativi in ambito globale»2.
Le biblioteche, poiché sono istituzioni dedite alla promozione della lettura e della conoscenza, possono diventare elementi centrali di questa nuova cultura partecipativa. Si aprono sia per i bibliotecari sia per le comunità di utenti, panorami futuristi e complessi in cui la carta stampata non è più l’unico protagonista delle collezioni, ma uno tra i tanti medium con cui gli autori compiono ciò che in realtà fanno da sempre: raccontare una storia. Le biblioteche attente a questi nuovi fenomeni, apriranno per i loro utenti le porte della comunicazione cross-mediale che permeerà il panorama digitale del futuro.

CamposG@state.gov

1 Henry Jenkins, http://henryjenkins.org/2009/02/if_it_doesnt_spread_its_dead_p.html (“Se un contenuto non si diffonde , muore”)
2 http://www.cross-media.it/2012/06/06/henry-jenkins-a-roma-la-transmedia-generation-che-cambia-il-mondo/