Paura del buio: costruire un’idea di sicurezza nelle biblioteche*

Piuttosto che semplicemente combattere la corrente falsa dicotomia tra sicurezza e libertà, i bibliotecari dovrebbero creare una rappresentazione alternativa della sicurezza, ottenuta attraverso la conoscenza.

Noi temiamo ciò che non conosciamo. È una verità che va dalle favole alla strategia militare. L’altro, il diverso, l’indefinito mettono le persone all’angolo. È apparso anche nella recente reazione agli attacchi di Parigi ed agli attacchi in Africa e Medio Oriente. E sta conducendo verso una deriva pericolosa e fuorviante riguardante l’idea che abbiamo dei migranti e dei musulmani.

Per alcuni questa è una visione costruita sul razzismo. Per alcuni è chiaramente un modo per diffondere la paura in cambio di un guadagno politico. Questa visione ignora i fatti (ad esempio i controlli che durano 18-24 mesi sulle persone – più controlli rispetto a qualsiasi altro punto di accesso negli Stati Uniti) e, francamente, anche delle brutte verità (un evidente pregiudizio verso una appartenenza religiosa rispetto ad un’altra).

Tuttavia, sebbene il tema basato sul “terrore del musulmano” sia ripugnante e debba essere contestato per il bene dell’anima degli Stati Uniti, vorrei parlare di un tema parallelo. Si tratta di questo: i bibliotecari possono giocare un ruolo importante nel contrastare e creare una rappresentazione alternativa a quella che ho descritto, una rappresentazione che assicuri i valori che noi difendiamo come professione. Dobbiamo sfidare direttamente l’assunto che la “libertà” sia contro la “sicurezza”.

Il tema della sicurezza riduce la complessità del prevenire attacchi deliberati alla cittadinanza: rinuncia ad alcune libertà per assicurare la tua sicurezza. Fornisci (al governo) le tue informazioni riservate, la tua libertà di movimento e il diritto di assemblea e noi ci occuperemo di voi. Queste libertà – così va il ragionamento – non sono davvero perdute poiché se tu non hai nulla da nascondere, tu non hai nulla da temere. Si viene a creare così la falsa dicotomia che contrappone la libertà alla sicurezza.

Il difetto fondamentale di questo falso assunto è credere che la sicurezza nasca SOLTANTO dalla limitazione dei diritti e delle libertà. Questo è tanto sbagliato quanto la credenza razzista e reazionaria secondo la quale il terrorismo nasce solamente dalla fede islamica, ignorando sia il numero enorme di musulmani che condannano la violenza e sia il terrorismo perpetrato dai cristiani e da altre religioni. Il terrorismo non ha nulla a che fare con l’amore per Dio, ma ha solo a che fare con l’odio verso l’umanità.

I bibliotecari devono creare una narrazione sulla sicurezza affermando che questa può essere possibile attraverso la conoscenza. Ogni giorno lavoro con musulmani e buddisti, cristiani ed ebrei, atei e deisti, e probabilmente anche tra i seguaci di Wicca mescolati fra di loro. Ogni giorno mi trovo fianco a fianco con un gruppo diverso di persone della facoltà e di studenti. Un’ampia fetta del nostro corpo studentesco proviene dall’India e dalla Cina. Abbiamo studenti che vengono dal Medio Oriente e dall’ex-Unione Sovietica. Io non ho paura poiché facciamo tutti parte della stessa comunità che gira intorno alla conoscenza.

Molti diranno, giustamente, che questa è una comunità privilegiata. Fondamentalmente io mi trovo con persone che possono permettersi l’accesso all’istruzione superiore. È una giusta precisazione. Quindi io chiedo questo: anziché confutare il mio ragionamento, perché non si cerca di assicurare un accesso equo alla conoscenza e all’apprendimento a tutti, come modo per contrastare l’odio e l’insicurezza?

Le nostre biblioteche – scolastiche, accademiche, pubbliche, speciali, tutte le biblioteche – dovrebbero essere piattaforme dove le comunità possano unirsi per imparare insieme fianco a fianco. Le biblioteche dovrebbero promuovere l’idea che le società più sicure sono quelle che apprendono insieme. Smettetela di guardare chi chiamo e cosa compro, ed iniziate ad aiutarmi ad apprendere. Datemi una solida opportunità (in questo Paese ed oltre), datemi qualcosa da perdere.

La vigilanza di quartiere non dovrebbe prevedere cittadini che tengono d’occhio altri cittadini stranieri, piuttosto le biblioteche potrebbero lavorare per inserirli nelle comunità e trasformarli in alleati. I bibliotecari non possono lottare soltanto contro lo stato di sorveglianza, essi devono creare un’alternativa dove l’apertura al dibattito e la libera circolazione delle idee crei sicurezza. In quanto bibliotecari non dovremmo essere visti semplicemente come ostacolo al lavoro della sicurezza; noi dovremmo essere visti come i pilastri della sicurezza portata avanti attraverso la conoscenza, l’apprendimento e l’impegno comunitario. Tessere della biblioteca anziché carte di identità. Banche dati di articoli anziché banche dati di musulmani. In tempi di crisi le biblioteche sono luoghi di riparo e luoghi che combattono la disinformazione e la paranoia utilizzando i fatti e la ricerca.

Questa è un’idea costruttiva che trascende il punto di vista politico o partitico. Rappresenta una visione che trasmette alle nostre comunità (città, università, scuole) che si può stare più sicuri se siamo più intelligenti e consapevoli. Per allontanare l’ignoto, le selve oscure, l’altro, l’alieno, basta un semplice click e una visita. Noi siamo delle isole felici non per sfuggire alla disinformazione e alla paura, ma isole felici per sfuggire all’ignoranza, dove ognuno può abbracciare i membri della sua stessa comunità e costruire una comunità forte e diversa.

 


 

David Lankes

Foto David Lankes

* Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, la traduzione dell’articolo di David Lankes “Fear of the Dark: Crafting a Security Narrative in Libraries” del 20.11.2015.

Traduzione a cura di Harry Monaco / Redazione AIB Notizie.