Ancora per Alberto Petrucciani

Durante la funzione per Alberto Petrucciani amici e colleghi hanno pronunciato brevi ricordi dello scomparso qui di seguito riuniti e pubblicati. Alcune foto di Alberto completano questi scritti.

Giovanni Solimine

Alcuni amici e colleghi hanno affidato a me il compito di ricordare Alberto.

Abbiamo lavorato fianco a fianco per moltissimi anni (grosso modo, direi 35) e più intensamente dal 2009 in poi, dopo il suo arrivo in Sapienza. Abbiamo sempre collaborato, condiviso tante iniziative, tante volte abbiamo discusso e ci siamo confrontati, perché avevamo sensibilità e interessi scientifici diversi (anche due caratterini niente male), ma sempre con un pieno e reciproco rispetto, essendo uniti da una stessa visione prospettica. Per questi viaggiavamo bene insieme, anche se con un passo a volte diverso.

Del suo lungo lavoro scientifico dirò soltanto che Alberto, divenuto professore ordinario a trent’anni nel 1986, ha avuto il grande merito di innovare radicalmente gli studi sulla storia delle biblioteche, indicando percorsi nuovi, superando una tradizione erudita. La prospettiva che Petrucciani ha sviluppato è quella di una storia del servizio bibliotecario, comprendente anche le persone che abitano le biblioteche, e quindi una storia della professione bibliotecaria e una storia dell’uso, una storia interna, raccontata attraverso i documenti che registrano «ciò che nelle biblioteche realmente avveniva, come, da parte di chi, ecc.». Molti suoi lavori (penso a quelli raccolti nel 2012 nel volume Libri e libertà) sono accomunati dal desiderio di valorizzare la dimensione “civile” che biblioteche e bibliotecari hanno esercitato in momenti cruciali come il Risorgimento nazionale, la lotta antifascista, la costruzione dell’Italia repubblicana.

I frutti più maturi di questo filone di studi e anche della sua capacità di raccogliere attorno a sé tanti collaboratori è emerso durante il convegno tenutosi alla Sapienza nel 2018.

L’applicabilità dei risultati di queste ricerche alla comprensione dell’azione sociale delle biblioteche costituisce un valore aggiunto di primissima rilevanza. In questa senso, non si è trattato solo di scrivere la storia delle biblioteche in modo diverso, ma di studiare e interpretare le biblioteche nella loro interezza e nei loro rispettivi contesti, contribuendo alla storia della trasmissione delle conoscenze, e mettendo al centro le persone, si trattasse di bibliotecari o di utenti.

Mi fermo qui, perché ci saranno altri momenti per fare un adeguato inventario scientifico e umano dell’eredità di Alberto Petrucciani, per ricordare i suoi studi sulla teoria e sulla pratica della catalogazione o per valorizzare il suo modo di rapportarsi agli studenti. Con i dottorandi, in particolare, era molto disponibile, premuroso, perfino affettuoso, aprendosi più di quanto non facesse con altri, lasciando emergere un tratto del carattere che la sua natura in altre circostanze tendeva a nascondere.

Per cercare di esprimere i sentimenti che accomunano amici, colleghi, allievi, devo aggiungere che in questi due giorni, da quando è circolata la notizia della sua scomparsa – notizia che temevamo prima o poi di ricevere, ma che non immaginavamo sarebbe arrivata così presto – ho letto tanti messaggi provenienti da ambienti diversi (quelli dei colleghi della Sapienza, o dei soci della società scientifica che aveva contribuito a fondare e di cui era stato presidente, o quelli inviati dai bibliotecari italiani attraverso la loro lista di discussione): questi messaggi hanno evidenziato diversi aspetti della personalità di Alberto, ma l’espressione che ricorre con maggiore frequenza è riferita al senso di impoverimento che tutti avvertiamo in questo momento.

Ci sentiamo più poveri perché in questi ambienti – che corrispondono poi alle varie sfaccettature della sua comunità di riferimento, quella delle biblioteche e di ciò che le circonda – Alberto ha occupato una posizione particolare e specifica, diversa da tutti gli altri, stando nel nostro mondo e osservandolo con uno sguardo originale.

Nel comunicato col quale la Presidente dell’Associazione Italiana Biblioteche ha annunciato la scomparsa di Alberto viene ricordato il suo forte e costante impegno nell’associazione professionale, fin dai primi anni di attività lavorativa iniziata come bibliotecario a Genova nel 1982 e ricoprendo per due volte l’incarico di vicepresidente nazionale, la decennale direzione della nostra rivista – che Alberto trasformò, portandola e facendola assestare a livelli molto elevati –; e poi la responsabilità scientifica della produzione editoriale e tanti altri incarichi, a volte in apparenza oscuri, perché Alberto aveva anche il gusto delle piccole cose.

L’autorevolezza che tutti gli riconoscevano naturalmente – e di cui Alberto era consapevole – non era legata alle posizioni che formalmente aveva ricoperto e alle quali, quando poteva, si sottraeva, e non perché non si sentisse all’altezza del compito e forse neppure per la sua proverbiale pigrizia.

Se solo avesse dato la sua disponibilità, avrebbe avuto il consenso necessario per dirigere o presiedere tanti organismi, malgrado non tutti condividessero sempre le sue opinioni né lui avesse mai risparmiato di manifestare il proprio dissenso, quando non era d’accordo su qualcosa, o quando – guardando oltre l’opinione dominante e vedendo cose che altri non vedevano – segnalava che le cose forse non stavano come pensava la maggioranza.

Credo che preferisse guardare le cose dalla seconda fila, perché così si osservano meglio. È proprio quello sguardo critico la cosa che più ci mancherà.

Domenico Scarpa

Alberto era un Maestro che noi abbiamo sempre pensato con la emme maiuscola, anche se con il suo comportamento lui se la scrollava sempre di dosso.

Alberto sapeva bene di essere Alberto: era cosciente del proprio valore, del proprio rigore, della dimensione materiale e immateriale del lavoro che ci offriva, ma a tutto questo è stato sempre capace di togliere peso. Alberto lo ricordiamo come un uomo grande, grosso, alto, arruffato, ruvido, che occupava tanto spazio in una stanza e che a momenti sembrava quasi scusarsi di occuparlo. Lo ricordiamo come una persona che si muoveva con rapidità perché con gli occhi e con le mani sapeva trovare subito quello che andava cercando, ma che a momenti sembrava chiedere scusa di essere così ingombrante, e lo manifestava soprattutto in due modi: nel modo di muovere le mani, di farle come svolazzare, come se quelle sue mani fossero oggetti fragili, diafani, quasi autonomi rispetto al corpo di cui erano le estremità, e lo manifestava poi con la voce, che uno non si aspettava così sottile, così in apparenza indolente dentro un corpo imponente come il suo.

I gesti delle mani, i su e giù della sua voce erano sottili come tele di ragno, e così, a pensarci adesso, erano composti anche i suoi saggi, le sue indagini, le lezioni che abbiamo potuto ascoltare da lui, e anche, lontano dalla cattedra, i racconti di come aveva fatto qualche grande scoperta che poi metteva per iscritto, e che conservava le stesse qualità, la stessa indistruttibile filatura da tela di ragno, quando poi le metteva per iscritto.

C’era un terzo modo che Alberto aveva di usare il corpo, ed era l’abbraccio con cui accoglieva gli amici e gli allievi: un modo che era insieme timido, slanciato, squisito e goffo, tutto questo insieme. Alberto era questo, era sottigliezza, spessore e accoglienza. Se oggi si dovesse dire con una sola parola che cosa era Alberto, Alberto era la sprezzatura fatta persona: era l’arte di non far vedere lo sforzo, era l’arte di entrare nel vivo delle cose con naturalezza, con la maturità e il realismo di chi conosce i fatti umani assai prima di quelli della cultura, assai prima di quelli della sua disciplina.

Sotto il profilo scientifico, sotto il profilo dell’intuito, dell’interpretazione, del saper mettere a sistema dettagli quasi invisibili, Alberto era geniale – è un aggettivo che nel suo caso bisogna usare senza mezzi termini –, e tutte e tutti noi qui possiamo dire di aver imparato o cercato di imparare qualcosa da lui, tutte e tutti noi possiamo dire di aver cercato di assorbire il suo mestiere più che di imparare: perché tutte e tutti noi capivamo presto che da lui si poteva imparare soprattutto per assorbimento, non per sforzo teorico né tantomeno per imitazione.

Quello che però muoveva la sua genialità scientifica era il fatto che lui sapeva – con grande acutezza, con grande realismo, soprattutto però con grande pietà – le cose della vita, quelle quotidiane, che pure solitamente sfuggono sotto la soglia dell’attenzione, così come sotto la soglia dell’attenzione rischiavano di scivolare alcune delle minime particolarità degli oggetti che lui viceversa notava, leggeva, capiva, e che tante volte arrivavano a proiettarci in un paesaggio completamente nuovo.

In Alberto era questo motore, questa presenza continua di umanità dentro ogni cosa che diceva e scriveva, a renderlo caro e inimitabile. Così vistoso nella persona, Alberto si direbbe che facesse in modo di essere il meno vistoso possibile nella scrittura, nello stile. A quel suo intuito scientifico, a quel suo sguardo umano, non mancava mai il pudore, ed era una sua qualità che arrivava a commuovere chi la coglieva. Alberto aveva un certo modo suo, sbrigativo, e anche romanesco ma senza il minimo compiacimento, con cui sembrava voler suggerire che in realtà quello che stava dicendo o scrivendo o facendo non era niente di speciale. Era veramente un modo di stare al mondo, e anche di stare nella scrittura, perché così come lo vedevi sulla sua persona lo potevi ritrovare poi nel ritmo, nelle parole, nei guizzi dei suoi saggi.

Alberto ha avuto una folla di allieve e di allievi di un livello sbalorditivo, che restavano legati a lui per sempre. Allievi molto diversi da lui, allieve e allievi con talenti indipendenti, di cui era orgoglioso, sempre con quel pudore suo. Gli brillavano gli occhi quando ne vedeva tante e tanti insieme in una stessa aula. Era commosso e faceva finta di niente, faceva come se fosse distratto. Perciò, ci possiamo immaginare lo sguardo che avrebbe oggi se fosse fisicamente in mezzo a noi: forse si bloccherebbe per un attimo, entrando e vedendo tutta questa folla riunita per lui, ma poi con quel suo grande corpo, così alto, e con quelle sue mani erratiche, ci passerebbe davanti e se ne andrebbe per la sua strada, chissà dove, ma possiamo stare sicuri che passando, senza farsene accorgere, ci avrebbe notati tutte e tutti senza eccezione, e ne avrebbe avuto una grande gioia.

Mauro Guerrini

Ad Alberto Petrucciani

“Oggi è nato un nuovo Maestro” sono le parole che Diego Maltese pronunciò alla fine della discussione della tesi di Alberto Petrucciani alla Scuola speciale per archivisti e bibliotecari. Maestro lo è sempre stato per generazioni di allievi, bibliotecari e colleghi, fin dall’inizio della sua carriera di bibliotecario a Genova e soprattutto come professore, divenuto ordinario giovanissimo. Alberto ha inaugurato uno stile didattico nuovo rispetto alla generazione dei docenti che ci sono stati maestri, coniugando professione e accademia, analizzando con rigore gli strumenti del lavoro bibliotecario, smarcandosi da molti luoghi comuni e inaugurando filoni di ricerca originali. Il suo approccio alla disciplina, infatti, è stato all’insegna dell’arte della ricerca corroborata da fonti autorevoli e da pratiche virtuose. Innumerevoli gli impegni nell’AIB, di cui non ha mai voluto divenire presidente, innumerevoli gli impegni nell’Università e al Ministero della Cultura. Ha avuto una dedizione per il lavoro pari a pochissimi altri. Era il decano dei professori universitari di Bibliografia e Biblioteconomia; era membro del Comitato scientifico della nostra rivista JLIS.it. Un amico, un collega, un Maestro.

Paola Castelliucci

Condoglianze ai figli, al fratello, alla madre di Alberto. E a tutti noi.

Condoglianze da parte di molti studenti. Hanno lasciato così tanti messaggi che risulta impossibile leggerli ora. Alcuni hanno voluto rimanere anonimi. Hanno inviato al rappresentante degli studenti il ricordo del Prof. Petrucciani. Un atto estremamente elegante: magari stanno ancora studiando e non hanno voluto essere giudicati, non hanno voluto che venisse attribuito un “voto” alle parole scelte per esprimere dolore e cordoglio.

Condoglianze anche da parte della società scientifica AIDUSA che raggruppa gli studiosi di archivistica, rappresentata nella persona del suo Presidente, Federico Valacchi – che non poteva essere oggi presente –che ha inviato un testo. La società scientifica degli archivisti ha voluto affidare alla SISBB-Società di scienze bibliografiche e biblioteconomiche – di cui Alberto è stato Presidente – il messaggio di cordoglio. Questo è di per sé un atto significativo, perché esprime una dichiarazione e una progettualità di intenti: siamo una comunità, è la nostra comunità.

Moltissimi soci SISBB hanno inviato un messaggio. Non sarebbe giusto sceglierne solo alcuni facendo torto agli altri. Verranno tutti passati alla famiglia di Alberto. Potranno così sentire il dolore e il respiro di una comunità intera.  Una comunità che lavora, studia, fa ricerca, in biblioteca. Una comunità di lavoratori. E che cosa accade in biblioteca? Che vita si svolge in biblioteca? “What happened in the library?” –  come titola il progetto di ricerca di Alberto. In biblioteca, in definitiva, scorre la vita. Una vita silenziosa, solitaria, dai ritmi lenti e attenti. Quel che all’esterno potrebbero apparire difetti, qui sono le regole. Non è pigrizia: è meditazione, concentrazione, contemplazione. E anche vita attiva, lavoro, appunto. Una vita anche segreta che si rivelerà solo in seguito, ad esempio con la scrittura, o con la vita attiva. In biblioteca, come in un hortus conclusus, ci si sente al sicuro. Sembra che i problemi, gli affanni, i dolori, non possano arrivare. In effetti, non arrivano o almeno vengono filtrati proprio da quel lavoro di meditazione che si trasformerà in atti creativi e di condivisione, con una classe, con un pubblico, con destinatari ignoti, futuri. La vita, quindi, entra anche in biblioteca e viene trasformata in un evento pubblico.

Alberto ha studiato “quel che accade in biblioteca” partendo da prove materiali, principalmente i registri di lettura e prestito. La metodologia seguita da Alberto faceva riferimento anche al Materialismo storico, alla Storia delle idee, ai Cultural Studies, oltre che alla tradizione bibliografica e biblioteconomica.  Cosa leggevano, in biblioteca, gli esuli a Ginevra? (un luogo caro ad Alberto, per la presenza dei figli). E nello stesso luogo, cosa leggeva Borges? Persone note, notissime, o anche sconosciuti, anonimi. E cosa accadeva in biblioteca – per tramite della lettura, dunque – quando a chiedere un libro era Benedetto Croce? O Dino Campana? O ancora, lettori della classe proletaria o impiegatizia. Capita anche che qualcuno di loro diventi, indirettamente, famoso (come nel caso del padre di Asor Rosa). Chiedere, proprio in quel luogo, proprio in quella biblioteca, proprio quel libro. Tutti eventi fra loro collegati e che finiscono per tracciare la storia intima e pubblica, poetica e politica, di una società.

Alberto rimarrà nei nostri ricordi e nei nostri studi: come in una biblioteca, dove continuerà a vivere, sentendosi protetto.