Bologna: biblioteche senza trucchi

Da Anna Manfron riceviamo e pubblichiamo

A Bologna, nello spazio per i giovani della Casa gialla gestita dalla Biblioteca del Pilastro è stata organizzata una lezione tenuta da un’estetista, come riporta l’articolo di un quotidiano («La Repubblica. Bologna», 18 novembre 2022):

“In biblioteca non solo per leggere e studiare, ma anche per imparare a farsi la manicure, acconciarsi i capelli e truccarsi … [perché] nell’epoca del digitale la biblioteca non può più essere solo un luogo di prestito di libri cartacei.”

L’iniziativa ha visto la partecipazione di tre ragazzine attratte da modelli di bellezza che creano facili e comprensibili aspettative nella mente di adolescenti. Ma forse si sono sottovalutate alcune questioni. Ad esempio il tema del rapporto degli adolescenti con il corpo: troppo importante e delicato per essere affidato a un beauty corner con estetista come quello allestito dal settore Biblioteche del Comune. Per di più, la bibliotecaria responsabile del progetto ha presentato la scuola di trucco come alternativa a un fallimentare club del libro, titolo di per sé assai respingente!

Ma biblioteche e bibliotecari devono fare autocritica se una loro iniziativa non funziona e non preferire scorciatoie varie al dovere di lavorare per una vera emancipazione delle persone, in particolare delle giovani donne. L’inclusione sociale, il miglioramento di sé e della comunità passano attraverso la conoscenza che dona autonomia e indipendenza decisionale e trova un pilastro nell’accesso gratuito all’informazione corretta e completa che rende liberi e consapevoli e che è lo scopo principale dell’esistenza delle biblioteche pubbliche.

Lo sappiamo, conosciamo il Manifesto IFLA-UNESCO delle biblioteche pubbliche fin dalla versione del 1994 e la recente Carta di Milano; e quindi cosa sta succedendo nelle biblioteche comunali di Bologna?

Ebbene una spiegazione forse c’è e, a mio parere, la si può trovare nell’articolo di Gaspare Caliri, Cecilia Colombo e Anna Romani, Una città che ci fa vivere molteplici vite: il percorso etnografico, maieutico e strategico del Settore Biblioteche del Comune di Bologna, «AIB studi», 62 (2022), n. 3, p. 609-625. La lettura apre una finestra su una fase di incertezza, di mancanza di visione e di programmazione, tutti fattori che lasciano spazio a improvvisazioni come quella citata che attirano la curiosità delle cronache locali, mentre non sono valorizzate le molteplici attività di promozione e sostegno alla lettura progettate e gestite con successo da bibliotecari consapevoli e preparati.

Entrando nel merito delle diciassette pagine dell’articolo emergono contenuti e parziali risultati della consulenza finanziata con risorse PON e affidata all’azienda bolognese che opera nei settori della comunicazione e della rigenerazione urbana, azienda per la quale lavorano gli autori dell’articolo. Si tratta di un progetto iniziato nell’agosto 2020 e non ancora concluso, che deve fornire al Settore biblioteche e welfare culturale del Comune di Bologna un «obiettivo di cambiamento» così formulato nel contributo (p. 621):

“Nei prossimi cinque anni il Settore Biblioteche e welfare culturale intende accendere e coltivare l’attenzione delle persone, favorire pratiche di inclusione, immaginazione e conoscenza non lineari e incentivare percorsi accessibili di orientamento e di connessione culturale e informativa.”

Se il gattopardismo non avesse un’accezione negativa, si potrebbe citare la famosa frase di Tancredi «se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». Problemi, obiettivi, percorsi, così come la «visualizzazione di un futuro desiderabile» sono presenti nei Piani Programma di quella che era l’Istituzione Biblioteche del Comune di Bologna, abolita a fine 2020. Proprio questo passaggio amministrativo non motivato da ragioni convincenti, che ha posto termine a una parabola in crescita positiva dei servizi, ha determinato la richiesta del personale bibliotecario di un «allineamento condiviso sulla direzione strategica del sistema delle biblioteche». C’era, ed è naturale, il timore di veder demolito quanto costruito nei dieci anni di vita dell’Istituzione e di uno stravolgimento di ruolo e competenze, tanto da chiedere un’integrazione dell’offerta formativa. Per capire tutto questo era necessario finanziare un progetto «per indagare il senso del mestiere bibliotecario»? L’articolo accenna in proposito a un’indagine sociologica condotta sui bibliotecari comunali che ha visto prima la somministrazione di un questionario (fase denominata «etnografia bibliotecaria») e poi di interviste (fase di «maieutica bibliotecaria») che hanno generato richieste del tutto analoghe a quelle emerse dall’indagine precedente. Anche in questo caso gli autori mostrano di aver trascurato il contesto di partenza, di non dare conto né del numero di coloro che hanno iniziato e poi concluso il percorso, né vengono riportate o almeno esemplificate le domande sottoposte al personale bibliotecario nel questionario e nelle interviste, togliendo al lettore ogni possibilità di valutazione del metodo adottato. Stessa cosa per quella che viene presentata come la fase ancora in corso, un questionario rivolto alle persone con più di 16 anni relativo al rapporto con la lettura. Anche in questo caso non si possono conoscere le domande: l’indirizzo web fornito nell’articolo porta al questionario online che però risulta inaccessibile, visto che il modulo – ovviamente – non accetta più risposte.

Ci si poteva aspettare qualcosa di più da chi ricoprendo ruoli o espletando incarichi non ha mai lavorato in precedenza nelle o per le biblioteche? La prima esperienza dell’azienda di consulenza rendicontata dai suoi tre collaboratori ha generato la domanda evidenziata nell’articolo:

“perché le biblioteche oggi – ma soprattutto – perché le biblioteche in futuro?”

D’altra parte non sono considerati i molteplici contributi del settore disciplinare sugli argomenti trattati, salvo citare due pubblicazioni di Chiara Faggiolani e un volume scritto da Giovanni Solimine insieme al giornalista Giorgio Zanchini. Un po’ poco per un articolo ospitato in una rivista che si rivolge ai bibliotecari e che ha come editore l’Associazione Italiana Biblioteche.

I bibliotecari dell’AIB sono senz’altro in grado di fornire un’ampia bibliografia; io inizio suggerendo di leggere almeno qualcuno dei contributi di Robert Darnton (ad esempio Il futuro del libro, Milano, Adelphi, 2011).

Anna Manfron

già direttrice dell’Istituzione Biblioteche del Comune di Bologna, membro del Collegio dei Probiviri dell’Associazione Italiana Biblioteche

annamanfron17@gmail.com