De Bibliotheca. Un editore fuori dagli schemi

Intervistiamo oggi Paola Del Zoppo, direttore editoriale di Del Vecchio editore, ricercatrice in Germanistica all’Università degli Studi della Tuscia.

D. Del Vecchio è un editore fuori dagli schemi, che in pochi anni ha trovato uno spazio e un’identità. Come è stato possibile in un Paese così allergico alla lettura?
R. Abbiamo sempre creduto nella capacità del lettore di distinguere i buoni libri e di apprezzare le scelte ardite, per esempio puntando fin dall’inizio sulla poesia. Poi negli anni abbiamo modulato un progetto letterario che rispondesse, secondo noi, a degli spazi mancanti nel panorama italiano, innanzitutto in termini di cultura della lingua e del pensiero. Di anno in anno, inoltre, strutturiamo il catalogo tenendo conto dei testi di autori ormai “nostri”, arricchendolo di novità e aprendolo a nuovi approcci letterari e culturali. Ci piace inoltre focalizzare delle tematiche legate ai grandi movimenti culturali più o meno riconosciuti, per esempio nel 2013-15 abbiamo sviluppato una linea molto chiara rispetto alle tematiche del displacement, dell’identità, della sensazione del fallimento e dello smarrimento in senso ampio. Inoltre speriamo che il coinvolgimento dei lettori sia legato anche all’ironia e a una sorta di ottimismo della consapevolezza che secondo noi anima i libri che scegliamo.

D. Ebook, facebook e blog sono strumenti efficaci? Quali sono gli elementi di forza?
R. Gli ebook possono raggiungere un pubblico anche diverso da quello dei libri cartacei, e offrono un diverso approccio alla lettura, secondo me. Non ne faccio un discorso valoriale, ma semplicemente di differenza. Io stessa uso l’e-reader e la sensazione è quella di avere una pila altissima di libri sul comodino da poter sfogliare in contemporanea. Mi chiedo se in alcuni casi questo non possa condurre a un approccio superficiale. Però credo che di per sé sia un ottimo strumento di diffusione dei libri. Uso facebook e anche la casa editrice lo usa con attenzione. Credo sia una sorta di dimensione differente, molto utile per diffondere notizie e opinioni, e insieme pericoloso perché tutto si può confondere. Ma vale lo stesso discorso dell’editoria in generale. Sono convinta che le persone, nel lungo periodo, cerchino la qualità e filtrino ciò che è più interessante. Per i blog, la Del Vecchio ne gestisce uno, coordinato da Angelo Molica Franco: “senzazuccheroblog.it”, che cerca di attenersi a una linea precisa: si divide in rubriche piuttosto regolari, annunciate in una sorta di sommario, e poi sviluppa temi e discussioni cercando di non scadere nell’autoreferenzialità. Ironia ed eleganza le parole chiave. Cosa funziona: secondo me la possibilità, reale o percepita, di un rapporto diretto con l’editore e con i testi, e come regola da darsi per chi scrive, l’onestà e la trasparenza, il lettore, giustamente, non tollera di essere preso in giro né istruito.

D. Il panorama dell’editoria italiana prevede un futuro “stile Highlander”… ne resterà soltanto uno?
R. No, io non credo. Credo anzi a una svolta positiva, generale, idealistica, e credo che il pluralismo sia, nell’editoria come in molti altri ambiti, garanzia di una positiva e costruttiva differenziazione e di possibilità di sviluppo. L’oligarchia dell’editoria fa male agli oligarchi tanto quanto alle realtà più piccole. Vedremo.

D. In Italia si pubblica moltissimo, si legge pochissimo. Come lo spieghi?
R. Non è facile in breve, ma cerco di spiegare la mia idea. Ci sono molte persone che scrivono per bisogno di riconoscere se stesse, e farsi riconoscere, perché non ci si percepisce più reali se non si è “noti”. In un momento di così profonda crisi di identità, si moltiplica quindi anche questo tipo di espressione, sul web come nella carta stampata. Alcuni editori non troppo onesti pubblicano, o meglio, stampano libri a prescindere dalla qualità, e d’altra parte l’editoria è un’impresa. Il problema è la poca definizione del confine tra letteratura e “altro”. Poiché anche molta della cosiddetta letteratura pubblicata in Italia presenta contorni narcisistici, non mi stupisco che pubblicare acriticamente libri sia uno degli atti più perpetrati negli ultimi venti anni. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda: si legge poco perché in questa generale concezione ombelicale della vita la scrittura, è e rimane, appunto, un atto egocentrico ed ego-centrato. Leggere rappresenta tutta una Weltanschauung diversa. È, e deve essere, un mettersi in crisi, una ricerca, un abbandono. Si legge poco perché si sogna sempre meno e i libri che hanno successo, perlopiù tendono a mitizzare situazioni di scarsissima rilevanza, e ad accentuare la tendenza al ripiegamento su se stessi e sugli schemi noti. I libri di “narrativa” più venduti un paio di anni fa erano quelli della trilogia delle Sfumature, e quest’anno come sempre ha avuto molto successo Dan Brown. Lo stesso discorso vale per i dibattuti libri di autori nostrani, come Fabio Volo o Gramellini, che risultano patetici nello sforzo di conferire un velo di interesse a situazioni banali e minuscole, senza mai preoccuparsi del vero ruolo dello scrittore, che non è un cronista né un racconta storie, ma deve essere sempre un poeta, un plasmatore della realtà. Il lettore si fa coinvolgere da ciò che solo nelle esistenze più meschine è trasgressivo o avventuroso, ma inconsciamente riconosce la mancanza di stimoli, di movimenti verticali e si disaffeziona alla lettura.

D. Promuovere la lettura in Italia sembra un impresa degna di Sisifo… Però negli ultimi tempi – dopo le innumerevoli denunce sulla disaffezione alla lettura – sembra che a livello istituzionale ci sia intenzione di agire. Dal tuo punto di vista, che cosa si dovrebbe fare?
R. Credo che la televisione possa essere sfruttata in positivo anche in questo. Anche solo proporre in televisione, e dico la prima idea che mi viene in mente, dei cartoni animati o
delle serie, anche degli sceneggiati, in cui i protagonisti, gli eroi e le eroine siano grandi lettori potrebbe essere interessante. E adesso che ci penso, anche solo riparlare di essere eroi, geni, esploratori, inventori, e insieme persone dalla spiccata attitudine alla socialità potrebbe aiutare. Ultimamente, la persona che legge è vista come un outsider, dal cosiddetto nerd all’intellettualoide maldisposto verso gli altri. Molto si potrebbe fare finanziando opportunamente le biblioteche pubbliche e stimolando la collaborazione tra queste e le scuole anche
con progetti mirati a livello nazionale. Bisognerebbe anche agire sull’opinione pubblica tramite i canali più tradizionali, come la stampa, riportando a un livello accettabile le considerazioni e l’approccio dei giornalisti e/o dei critici letterari dei giornali che troppo spesso consigliano brutti libri o altre volte, presi dalla miopia del potere non focalizzano gli aspetti più dirompenti di libri importanti perché meno vendibili. Infine, credo che la rivalutazione e un’interrogazione profonda sul senso dello studio nelle facoltà umanistiche con conseguenti “aggiustamenti” possa giovare.

D. Gli ebook hanno creato nuovi lettori o rafforzato quelli esistenti?
R. Secondo me entrambe le cose, come accennavo prima con differenti approcci e risultati. Ci sono dei libri che non comprerei mai in ebook, mentre altri non li avrei mai letti se non avessi potuto farlo nel format elettronico.

D. Perché la scuola sembra sempre esclusa dall’attenzione alla lettura, salvo il discusso ambito dei libri di testo e il dibattito sui libri digitali?
R. Non so se è esclusa dal dibattito, credo che anche in quel contesto ci sia molto smarrimento. I programmi scolastici e i POF devono far fronte a molte difficoltà. Per quanto riguarda la lettura uno dei problemi è che i ragazzi sempre più spesso leggono solo “per la scuola”. Il che rende ogni libro un compito e non un piacere e inserisce la lettura nel processo di timori e scarsa autonomia di cui ormai i ragazzi sono vittime da tempo. Non si legge per avere un dialogo con se stessi tramite il sogno, l’immaginazione o la possibilità di conoscere mondi nuovi, modi di pensare differenti, ma per non fare brutte figure con i compagni, non essere rimproverati dai genitori, e in prospettiva, per “evitare il fallimento”:
i ragazzi crescono, influenzati dal clima generale e dalle famiglia, con una pesante ansia del fallimento e un profondo senso di inadeguatezza, che non si può affrontare solo a scuola. Ma il paradosso è che la lettura di grandi libri gioverebbe anche alla scuola stessa, alla fiducia nel futuro e nell’utilità della formazione scolastica e in fondo anche al rapporto insegnante/studente.

D. In tv o alla radio quando si parla di libri si vedono pochi editori e ancor meno bibliotecari… che ne pensi?
R. Che dei libri si fa spettacolo come di ogni altra cosa, e la spettacolarizzazione è funzionale alla mercificazione. Le biblioteche non offrono merci, condividono saperi, memoria, e in ultima istanza identità. Non credo sia un prodotto prettamente televisivo. Però si potrebbe sviluppare un programma che racconti, per esempio, dei più fantastici bibliotecari e librai della letteratura e del cinema. Non so, come Carlo Corrado Coriandoli della Storia Infinita, o il bibliotecario di Hugo Cabret per il cinema.

D. Tre cose che editori e bibliotecari dovrebbero fare nel 2014.
R. Collaborare e discutere in tavole rotonde e incontri di ampio respiro, sviluppare in tempi brevissimi microprogetti di incentivazione alla lettura, format che poi possano essere riproposti a basso costo, puntare solo alla qualità letteraria e all’importanza culturale dei libri.

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