Gli archivi delle biblioteche. Un seminario di studi.

Il 30 e il 31 marzo u.s. si è svolto all’Università di Urbino “Carlo Bo” il seminario di studi Gli archivi delle biblioteche. Ne pubblichiamo volentieri un resoconto a cura di Loretta De Franceschi, Concetta Damiani, Pierluigi Feliciati.

Primo incontro in presenza dopo la pandemia, sostenuto comunque anche da una modalità di collegamento da remoto, il seminario Gli archivi delle biblioteche è stato organizzato da Loretta De Franceschi del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Urbino “Carlo Bo” assieme a Concetta Damiani dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, Dipartimento di Lettere e beni culturali e a Pierluigi Feliciati dell’Università di Macerata, Dipartimento di Scienze della formazione, dei beni culturali e del turismo.

Al seminario hanno dato il patrocinio tutte e quattro le associazioni rappresentative dei due settori – la SISSB (Società Italiana di Scienze Bibliografiche e Biblioteconomiche), l’AIDUSA (Associazione Italiana Docenti universitari di Scienze Archivistiche), l’AIB (Associazione Italiana Biblioteche) e l’ANAI (Associazione Nazionale Archivistica Italiana) – che attraverso i loro presidenti hanno manifestato grande apprezzamento per l’iniziativa.

Il seminario si è aperto con i saluti da parte del comitato scientifico e dei rappresentanti degli enti patrocinatori, i professori Paola Castellucci presidentessa della SISSB, Federico Valacchi presidente di AIDUSA, Rosa Maiello presidentessa di AIB e Pamela Galeazzi presidentessa di ANAI – Marche.

I lavori sono stati introdotti da Loretta De Franceschi che ha sottolineato come la tematica degli archivi delle biblioteche sia stata – di fatto – poco indagata, al contrario di quella degli archivi nelle biblioteche, argomento a cui negli ultimi anni si sono dedicati alcuni convegni e incontri di riflessione. Il seminario, pertanto, ha voluto affrontare in maniera ampia e articolata il tema della vasta documentazione prodotta dalle biblioteche, carte e dati che testimoniano le molteplici attività da esse svolte spesso non solo in campo strettamente biblioteconomico e bibliografico, ma anche come istituzioni culturali a più ampio spettro rivolte a un bacino d’utenza diversificata e dalle differenti esigenze. I loro archivi risultano essere fonti preziose sia in un’ottica diacronica, per la ricostruzione della storia delle biblioteche, delle pratiche biblioteconomiche, della lettura e della cultura in generale, sia dal punto di vista sincronico, per quanto attiene alla gestione organizzativa, dei flussi documentari, e – tema oggi di grande attualità e complessità – alle problematiche della produzione di archivi digitali.

Data la ricchezza dei contenuti, il seminario è stato organizzato in tre sessioni tematiche, focalizzate sui seguenti temi: gli archivi storici delle biblioteche come strumento di conoscenza e analisi della realtà socio-culturale dell’epoca; gli archivi correnti delle biblioteche, ovvero gestione dei flussi documentali, strumenti di intervento, problematiche e soluzioni; digitalizzazione e trattamento informatico degli archivi nelle e delle biblioteche a scopo gestionale e di valorizzazione del patrimonio.

Andrea De Pasquale, soprintendente dell’Archivio Centrale dello Stato, ha dedicato l’intervento di apertura ai temi degli archivi nelle biblioteche e degli archivi delle biblioteche, presentando un puntuale quadro storico normativo di riferimento e proponendo una panoramica sulle modalità e gli strumenti di gestione e sulle attività di valorizzazione in corso presso alcune istituzioni nel contesto nazionale e internazionale.

La prima sessione, presieduta da Loretta De Franceschi, era mirata a “Gli archivi storici delle biblioteche come strumento di conoscenza e analisi della realtà socio- culturale dell’epoca”.

Alberto Petrucciani (Università La Sapienza, Roma), ne ha parlato per primo, soffermandosi su Il pubblico delle biblioteche e la loro funzione: l’importanza degli archivi di biblioteche per la storia e per la biblioteconomia. Nell’intervento si è innanzi tutto evidenziato come gli archivi delle biblioteche siano stati – purtroppo – in tanti casi trascurati, oppure danneggiati dai bombardamenti durante le guerre, con la conseguente perdita totale o parziale dei documenti. Tali assenze o lacune privano gli studiosi di una fonte di grandissima importanza per la ricerca, sia per conoscere quale sia stato davvero – nel tempo – il pubblico delle biblioteche, sia per considerare quali funzioni esse abbiano realmente svolto, per chi, dove e quando. Inoltre, l’esame di questo materiale può indurre a una riflessione biblioteconomica sulla progettazione dei servizi anche nel mondo di oggi, cercando di superare l’atteggiamento, talvolta prevalente, di subire in maniera passiva le prassi abituali, l’andamento degli usi e i comportamenti dell’utenza. Petrucciani ha anche presentato il sito L&L. Lives and Libraries. Lettori e biblioteche nell’Italia contemporanea, progetto che intende documentare e analizzare la fruizione e l’impatto delle biblioteche ricorrendo soprattutto alle testimonianze di personaggi di qualsiasi genere, rintracciabili in testi autobiografici, interviste, carteggi, ecc.

Enrico Pio Ardolino (Università La Sapienza, Roma) ha parlato de I registri di lettura come fonte documentaria su libri e lettori: la Biblioteca provinciale di Potenza e il caso di Benedetto Croce. L’intervento ha presentato un’analisi dei registri conservati nell’archivio di questa biblioteca per il periodo dal 1926 al 1945, in relazione al panorama dei lettori delle opere di Benedetto Croce durante il fascismo. Questo era il periodo di maggiore solitudine e isolamento intellettuale del filosofo napoletano, vissuto in una piccola realtà di un capoluogo di provincia non lontano dalla sua città. Ardolino ha così illustrato quali erano le opere di Croce più lette e richieste in questi anni, quali gli indirizzi prevalenti all’interno della vasta produzione crociana e, in particolare, si è concentrato sul tratteggiare qual era il profilo dei lettori di queste opere. I registri, infatti, restituiscono informazioni importanti, permettendo di conoscere le varie categorie in cui i lettori venivano suddivisi: innanzi tutto per sesso, poi per fasce d’età, per provenienza e anche per professione. Questi dati, uniti ai titoli delle opere richieste in lettura, consentono analisi e riflessioni molto interessanti.

Fiammetta Sabba (Università di Bologna, Campus di Ravenna) e Francesca Nepori (Archivio di Stato di Massa) hanno offerto una panoramica su Documenti e complessi di natura archivistica nelle biblioteche statali: una mésalliance secolare. Poiché all’interno delle biblioteche statali sono presenti singoli documenti o cospicui complessi documentari di natura non prettamente bibliografica, ma archivistica o ibrida, l’intervento è stato aperto da una rassegna sulle fonti edite che hanno cercato di delineare una mappatura di questi materiali. Le relatrici hanno poi preso in esame alcuni progetti di censimento che sono stati avviati, proponendo delle considerazioni sulla tipologia documentaria interessata, sulle corrispondenti problematiche gestionali e descrittive, nonché sulla strutturazione interna di tali censimenti. L’attenzione è stata posta in special modo sul censimento degli archivi delle biblioteche statali iniziato nel 2006 per volere del Ministero per i beni e le attività culturali, ma poi – per ragioni non chiare – interrotto: i risultati ottenuti dal lavoro compiuto fino a quel momento non risultano però consultabili allo stato attuale, si spera comunque che possano divenirlo a breve, così da costituire una risorsa preziosa per gli studi in questa direzione.

Vincenzo Trombetta (già Università di Salerno), ha focalizzato il discorso su Gli archivi delle biblioteche napoletane. Da esperto frequentatore di questi istituti, ha presentato un’estesa panoramica degli archivi oggi conservati a Napoli, in particolare nella Biblioteca Nazionale, nella Biblioteca Universitaria e nella biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria. L’insieme di queste carte, proprio anche per la loro diversa configurazione, rappresenta un patrimonio di enorme rilevanza storica. Grazie a tali sedimentazioni documentarie, infatti, si possono ricostruire non solo le tracce dello sviluppo delle singole strutture – dalla loro gestione interna ai finanziamenti ottenuti, dalle problematiche relative al personale ai servizi erogati al pubblico e alle pratiche catalografiche – ma anche lo stretto legame intrattenuto con l’ambiente socio-culturale così vivace come quello del territorio napoletano. Emergono, tra l’altro, le forniture librarie, le donazioni di collezionisti, il rapporto con le istituzioni e l’Università. Per ogni biblioteca, a titolo d’esempio, l’intervento ha illustrato taluni materiali documentari, con una ricognizione su quelli confluiti, attraverso successivi versamenti, nei fondi dell’Archivio di Stato di Napoli.

Rosa Parlavecchia (Università di Salerno), ha tracciato il percorso «Da S. Ivo alla Minerva», compiuto per Il trasferimento della Biblioteca Universitaria Alessandrina e raccontato dai documenti d’archivio. Queste carte documentano il trasloco della biblioteca dai locali dell’antico e monumentale Palazzo borrominiano della Sapienza, luogo che l’aveva ospitata dal momento della sua fondazione voluta da papa Alessandro VII nel 1667. In seguito alla costruzione della Città universitaria a Roma nell’ampia area di Castro pretorio, nel 1935 veniva inaugurata la nuova sede della Biblioteca Universitaria Alessandrina. L’archivio storico della biblioteca contiene la documentazione che fedelmente registra tutto l’insieme del programma relativo al trasferimento: i lavori preparatori al trasporto dell’ingente patrimonio librario, il riordinamento di molte sezioni, la creazione delle varie sale, la fusione con le biblioteche di Facoltà – Lettere, Giurisprudenza e Scienze politiche e sociali – nonché le procedure di catalogazione, l’organizzazione del personale e le acquisizioni effettuate. Questo trasferimento ha rappresentato una fase alquanto problematica nella storia dell’Alessandrina, suscitando critiche e perplessità da parte della comunità bibliotecaria dell’epoca, soprattutto per le infelici sorti toccate al fondo antico, un vero e proprio “sacrilegio bibliotecario”.

Antonella Parmeggiani (Università di Bologna), con la relazione L’Archivio storico della Biblioteca Universitaria di Bologna durante la prima metà del ‘900: i fascicoli “vuoti”, ha affrontato il tema del riordinamento e della descrizione del fondo archivistico della BUB e ha, in qualche modo, passato il testimone alla seconda sessione. Il recente versamento del fondo alla sezione dell’Archivio storico dell’Università di Bologna ha reso disponibili le scritture relative all’attività della Biblioteca dall’800 fino ai nostri giorni, con qualche testimonianza del ‘700. Le attività di riordinamento hanno consentito la ricostruzione della storia archivistica, l’emersione dei diversi titolari di classificazione in uso, a partire da quelli del 1883 e del 1913 e una mappatura delle mancanze, attraverso il rilevamento di non pochi fascicoli privi di documenti, soprattutto relativamente al periodo che intercorre fra i due conflitti mondiali.

La seconda sessione – presieduta da Concetta Damiani – dedicata agli archivi correnti delle biblioteche, ha provato a indagare sui temi della gestione dei flussi documentali, sugli strumenti d’intervento e sulla loro effettiva diffusione, su criticità e possibili soluzioni.

Se la prima sessione ci ha restituito la contezza di patrimoni archivistici più o meno ben conservati, in alcuni casi oggetto di attività di riordinamento e descrizione inventariale e pertanto nelle disponibilità degli studiosi per la consultazione, la seconda invece si apre con la legittima preoccupazione che non sia così scontato che l’attuale produzione documentaria segua le medesime sorti. Gli archivi correnti delle biblioteche – cartacei, ibridi, digitali – in che stato si trovano? Le istituzioni curano i propri archivi correnti? Pianificano il futuro documentale? Sono rispettose della normativa? Producono o utilizzano piani di classificazione e conservazione? Gli interventi della sessione hanno provato a fare il punto della situazione.

Ha iniziato Mariella Guercio (Scuola di specializzazione beni archivistici e librari, Università La Sapienza, Roma) che, con Classificare documenti, formare aggregazioni, conservare archivi: la linea d’ombra degli archivisti e della multidisciplinarietà, ha evidenziato la non differibilità di un bilancio anche alla luce dell’accelerazione che la pandemia ha dati ai processi di trasformazione digitale. Se il piano normativo presenta una dimensione di assestamento tra qualche compromesso e fondamentali passi avanti, gli strumenti di supporto documentale e archivistico, benché chiaramente individuati, sono ancora lontani da un buon grado di sviluppo e diffusione. Il passaggio dalla dimensione documentale della gestione a quella archivistica digitale, normalizzata e flessibile, richiede alle nostre discipline il passaggio a una maturità di metodi e di standard operativi non più rinviabile. Richiede inoltre la capacità di sviluppare soluzioni multidisciplinari che la specifica natura dell’ente produttore “biblioteca” consente e favorisce.

Quella proposta da Rosa Maiello (AIB, Università Parthenope) è invece una riflessione su Quattro aspetti del lavoro archivistico nelle biblioteche che meritano di essere approfonditi: la gestione documentale corrente effettuata dalle biblioteche come strutture amministrative; la gestione di archivi storici (con riferimento al proprio o a quelli di persona acquisiti in dono), la gestione di materiali archivistici (singoli documenti, come le lettere o le fotografie, a volte reperiti per caso, ad esempio all’interno di un fondo librario) e, infine, la gestione di singole tipologie documentarie che spesso costituiscono al contempo documenti archivistici e pubblicazioni (il caso da manuale è quello delle tesi di dottorato, ma anche, a livello macro, il sistema del deposito legale). Sono ambiti di lavoro diversi che in parte richiedono anche applicazione di metodologie e fonti normative diverse, ma che in un’ottica di valorizzazione andrebbero affrontati in modo unitario.

Con Annalisa Rossi (Soprintendente archivistico e bibliografico della Lombardia), infine, dal punto di vista delicato e nevralgico delle istituzioni di tutela, è stata puntata l’attenzione su Archivi & Biblioteche: interdipendenza (positiva) fra principi e pratiche, sottolineando l’interdipendenza positiva ma non sempre consapevole, che si crea tra il soggetto produttore e l’archivio all’interno delle biblioteche. Hanno i bibliotecari piena consapevolezza delle produzioni documentarie che li riguardano e avvedutezza nella loro gestione? La recente acquisizione della funzione di tutela bibliografica in capo alle Soprintendenze archivistiche ha facilitato processi virtuosi nel contesto di pratiche ancora tutte da disegnare e di una cultura condivisa da consolidare. La strada da percorrere è ancora lunga e non del tutto spianata.

L’ultima sessione del Workshop – presieduta da Pierluigi Feliciati – è stata dedicata al tema trasversale dell’applicazione delle tecnologie digitali alla produzione degli archivi delle biblioteche, al loro studio e alla loro valorizzazione. L’adozione delle tecnologie dell’informazione disponibili nel presente sembrerebbe essere, almeno in teoria, un falso problema, considerato il loro livello di assestamento nelle pratiche quotidiane, di maturità in termini di risposta alle esigenze informative e di ricerca e stando alla normativa nazionale e internazionale che le rende obbligatorie. Nei fatti, però, sappiamo che i requisiti minimi necessari per produrre archivi digitali a norma, per riprodurre serie documentali analogiche producendo, gestendo e conservando correttamente collezioni digitali ed infine per rendere accessibili e trovabili le risorse digitali in rete, non sono sempre sostenibili dalle organizzazioni. Le biblioteche, come già sottolineato durante la sessione precedente e come emerso durante la sessione conclusiva, non fanno eccezione. Il “digitale”, infatti, resta un territorio di confine, in mano agli specialisti, e non sempre è facile attivarne in pieno tutte le potenzialità per migliorare le procedure di funzionamento, documentazione e cooperazione delle attività delle biblioteche. I sistemi informativi, prima di tutto quelli votati alla catalogazione e ai servizi conseguenti, producono e raccolgono grandi masse di dati sulle attività quotidiane, senza che se ne controlli pienamente la tenuta, la conservazione e l’accesso futuro; le risorse che documentano gli eventi speciali, i corsi di formazione e aggiornamento, le iniziative di rete non sono gestite sulla base di specifiche policy, con il rischio di non farne oggetti di memoria. Il titolo previsto per la sessione è stato “La digitalizzazione e il trattamento informativo degli archivi nelle/delle biblioteche”, volendo comprendere sia le problematiche relative all’uso delle riproduzioni digitali dei documenti prodotti nel tempo su supporti analogici, sia all’adozione di strumenti e modelli logici e procedurali – ovviamente basati su software – per l’elaborazione dei dati e dei documenti d’archivio prodotti dalle biblioteche, la loro conservazione, diffusione e ricerca.

Il primo intervento, di Simona Inserra (Università di Catania), Per lo studio dell’archivio della biblioteca del Collegio dei Gesuiti a Catania: un progetto in corso tra Archivio storico dell’Università e Biblioteca Regionale, ha presentato le linee generali del progetto di studio e valorizzazione della documentazione archivistica relativa alla biblioteca del Collegio dei Gesuiti di Catania, conservata presso l’Archivio storico dell’Università degli studi di Catania e presso la Biblioteca Regionale della città etnea, finalizzato alla ricostruzione virtuale della originaria biblioteca, oggi in parte dispersa. Ad oggi mai studiato nel suo complesso, l’archivio appare ricco di documenti che possono senz’altro contribuire sia a una migliore comprensione del momento di passaggio dei fondi librari dal Collegio dei Gesuiti alla Biblioteca, allora Universitaria, sia allo studio della biblioteca dei Gesuiti nelle diverse fasi di formazione, gestione, conservazione, dalla istituzione del Collegio catanese. La documentazione archivistica, in fase di digitalizzazione e trattamento, è studiata insieme agli esemplari del fondo librario, al fine di incrociare dati e informazioni tratti da elementi materiali quali, tra gli altri, note di possesso, segnature di collocazioni specifiche, legature ed elementi decorativi. Il trattamento digitale delle fonti sembra configurarsi in questo progetto come terreno di dialogo e cooperazione tra diversi specialismi.

È seguita la relazione di Carolina Lussana (Fondazione Dalmine), Le biblioteche degli archivi. Il patrimonio documentale dell’impresa tra fondi archivistici e bibliografici. Gestire il patrimonio documentale storico prodotto dall’industria stimola chi se ne occupa a mettere in discussione la “storica separazione” fra il mondo degli archivi e quello delle biblioteche. Una “separazione” di approcci, di strumenti di descrizione, di sistemi di trattamento dell’informazione che risulta spesso non adeguata ad affrontare in una prospettiva a tutto tondo il variegato patrimonio documentale prodotto dall’impresa, fatto certo di documenti archivistici più tradizionali, ma composto anche da serie di prodotti, oggetti, cataloghi, pubblicazioni e volumi prodotti dall’impresa, nonché da biblioteche tecniche aziendali fortemente integrate con le serie documentali prodotte e conservate dalle funzioni aziendali. Quando il patrimonio storico dell’impresa viene poi conservato e valorizzato da un soggetto terzo – ad esempio una Fondazione culturale – al patrimonio dell’impresa si aggiunge quello proprio dell’ente di conservazione, che può ricevere fondi sia archivistici che librari. L’intervento ha proposto così riflessioni derivanti dall’esperienza pratica di direzione di due enti di conservazione appartenenti al mondo dell’impresa, che conservano fondi archivistici e librari e gestiti in modo integrato sia dal punto di vista della metodologia, che degli strumenti informatici, che attivano l’adozione di soluzioni trasversali, da aggiornare sempre negli obiettivi e nelle tecnologie adottate.

L’ultimo intervento, Perché separare dati e documenti (quando serve), è stato quello di Giovanni Bergamin (AIB) che ha presentato alcuni strumenti informatici utili per gestire quella pletora di oggetti (o risorse digitali) prodotti durante l’attività di una biblioteca e che di solito non rientrano negli oggetti informativi o archivistici canonici che la stessa biblioteca tratta o produce. Si pensi infatti alle raccolte di foto, ai video di eventi, alle raccolte di dati non catalografici, come le statistiche, ecc. Il sito web istituzionale risponde solo parzialmente alle esigenze di controllo, gestione e conservazione di queste preziose risorse. La visione del web semantico che prevede di separare dati e documenti potrebbe oggi essere applicata alla fonte, con vantaggi per i servizi della biblioteca, in particolare comunicazione e accesso. Le recenti evoluzioni di Wikibase, soluzione adottabile anche per singole organizzazioni, e di Schema.org possono rappresentare in questo contesto concrete opportunità da considerare.

Rimandando riflessioni più accurate e meditate al volume che accoglierà gi atti del seminario, possiamo sinteticamente concludere che la tematica degli archivi delle biblioteche risulta essere estremamente interessante e attuale e che l’incontro ha generato numerose sollecitazioni e considerazioni.

Loretta De Franceschi

Concetta Damiani

Pierluigi Feliciati