Fabio Severino: quanto valgono le biblioteche?

Intervistiamo Fabio Severino, autore del volume “Marketing dei libri. Teorie e casi di studio”, edito dalla editrice bibliografica nel 2012.

Qual è il valore delle biblioteche?
Purtroppo il più delle volte chi si occupa di biblioteche risponde: “il patrimonio documentale”, “il servizio di prestito” o qualche altro servizio all’utenza. Ma queste sono funzioni. Io credo che il valore sia il contributo che la biblioteca può dare al miglioramento della vita, sia individuale che collettiva. In che modo? Mentre il medico lo fa con le cure e con la prevenzione, la biblioteca lo fa con la promozione e la diffusione della cultura, attraverso i suoi servizi di prestito, consultazione libraria e tanto altro.

Quale applicabilità può trovare, nel campo delle biblioteche, lo studio del macro e del micro ambiente in cui esse si trovano a proporsi agli utenti reali e potenziali?
Le biblioteche devono conoscere meglio il mondo che le circonda. Non solo i propri utenti, quel 10-20% (nei migliori dei casi) di popolazione che le frequenta.
Bisogna sapere perché le persone non vanno in biblioteca, che considerazione ne hanno, che percezione di utilità. È risaputo che le persone non sono disposte a cambiare le proprie abitudini quotidiane, tanto meno per frequentare una biblioteca. Ogni attività richiesta o proposta deve rispondere all’equilibrio sacrificio=beneficio. Le persone non danno un valore assoluto al patrimonio, ai servizi o alla qualità estetica dei luoghi. Tutto ciò per esse è relativo: quanto mi migliora la vita? In funzione di questo, sono disposto a sopportare dei “disagi”? (il cosiddetto costo d’accesso: traffico viario, parcheggio, orari, fila d’attesa etc.). Pertanto è necessario comprendere il modo in cui la
biblioteca si colloca nell’immaginario collettivo: questo può avvenire solo con continue e accurate analisi di scenario del proprio bacino di utenza potenziale e reale. Sulla base di quanto appreso da tali studi si può riallineare la percezione del valore per la comunità con le ambizioni dell’erogatore del servizio. Bisogna far coincidere identità (che scelgo io) con l’immagine (che è ciò che rimane all’esterno).

Nel contesto dello studio del macro e del micro ambiente, come può la biblioteca anticipare la domanda e il bisogno dei suoi utenti?
Soltanto conoscendo chi ho davanti e avendo una visione d’insieme dei fenomeni riesco a capire i trend evolutivi e rispondere all’esigenze future della comunità. La cultura e i servizi ad essa connessi, soprattutto quelli infrastrutturali, hanno tempi lunghi di progettazione e realizzazione. È necessario iniziare a fare oggi ciò che servirà domani: fra dieci anni ci saranno il 20% in più di ultra sessantenni con un buon livello culturale e maggiore capacità di spesa e tempo libero di oggi, e altrettanti nuovi immigrati di prima e seconda generazione. Per tutte queste persone la cultura è uno strumento evidente di miglioramento della qualità della vita. Bisogna pensare oggi al contributo che la biblioteca potrà dare loro e in quale forma potrà avvenire. Quando un’impresa privata non anticipa la domanda e sbaglia prodotto o servizi, semplicemente fallisce. Quando un servizio pubblico è disallineato rispetto alla domanda del contesto di riferimento rimane deserto, ma è un costo per tutti e un’opportunità mancata che nel lungo periodo crea impoverimento, disgregazione sociale e conflitti.

A proposito di lettori e non lettori, come pensi che le biblioteche possano migliorare l’affezione degli utenti per i loro servizi e il loro brand?
Ascoltando i lettori e cercando di rispondere alle loro domande. L’autoreferenzialità rovina ogni rapporto: l’amore, d’amicizia etc. Nell’offerta culturale purtroppo ce n’è una sovrabbondanza. Le persone vogliono invece essere comprese, aiutate, accompagnate, soprattutto dalla cultura che è parte di esse: mentre un prodotto commerciale può al massimo deluderci, la cultura può farci molto più male, facendoci sentire abbandonati o addirittura orfani. L’operatore culturale ha una grande responsabilità, soprattutto quello che io chiamo “di prossimità”, come nel caso del bibliotecario.

Di nuovo, a proposito di brand: le biblioteche e l’AIB stessa, cosa dovrebbero migliorare per essere competitive e attraenti?
Se mi trasferisco in una paese straniero la prima cosa che faccio per ambientarmi e farmi accettare è imparare la lingua che parlano tutti gli altri. Biblioteche e AIB devono
parlare una lingua conosciuta e comprensibile a tutti: questo significa avere un sito web adeguato, bibliotecari adeguati, strutture adeguate, comunicazione istituzionale
adeguati. Non dico belli, l’estetica è soggettiva, ma efficaci, in grado di stabilire un dialogo.

A proposito di libri e Grande Distribuzione Organizzata: secondo te, la presenza di punti di prestito/di lettura in alcuni ipermercati può servire ad ampliare il bacino di utenti del sistema biblioteca (penso a quelli che ci sono a Roma, che però sono solo punti di prestito senza uno scaffale delle ultime novità della biblioteca).
Io credo che siano sperimentazioni intelligenti. Se le parole chiave che ci siamo dati prima sono: conoscenza, ascolto, dialogo; portare una biblioteca in un centro commerciale significa cercare le persone che la biblioteca non la frequentano, trovarle nei loro luoghi abituali, quelli del consumo, del commercio e oggi della loro socialità. Solo presentandosi e aprendosi, la biblioteca può adempiere al proprio ruolo istituzionale: migliorare la vita dei cittadini, del maggior numero possibile. Solo così la biblioteca può sostanziare la propria meritorietà e il contributo che può dare a tutta la collettività, non solo ai suoi utenti.
fava@aib.it