Social reading e modi della lettura: una conversazione

Chiara Faggiolani è professore associato di Archivistica, bibliografia e biblioteconomia presso il Dipartimento di Lettere e Culture Moderne dell’Università di Roma “La Sapienza” e autrice di svariati testi; Lorenzo Fattori è dottore di ricerca in Scienze sociali e statistiche e collabora con la cattedra di Sociologia presso il Dipartimento di Scienze sociali dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. I suoi interessi di ricerca sono i media e i processi culturali. Assieme conversano sul tema del social reading e di come cambi il modo di leggere

Buongiorno, Chiara, e grazie per la tua disponibilità nel fare questa chiacchierata. Con l’etichetta di social reading si fa riferimento a diversi servizi online, piattaforme o app, che permettono agli utenti la condivisione e la discussione dei testi che stanno leggendo. Quali sono, se ci sono, le differenze tra questo ecosistema e quello della lettura tradizionale, fatto di librerie, biblioteche, supporti fisici – cioè i libri – e presentazioni dal vivo?

Nel rispondere a questa domanda, ovviamente non posso fare a meno di considerare il momento che abbiamo appena vissuto e la particolare lente che il lockdown durato due mesi a causa dell’emergenza sanitaria Covid-19 ha determinato. In questi mesi sostanzialmente si è verificato ciò che pensavamo fosse impossibile: abbiamo visto immagini agghiaccianti di città deserte, il distanziamento sociale è diventato sinonimo di senso di responsabilità. Scuole e università chiuse ci hanno fatto sperimentare una diversa modalità di insegnamento e ci hanno posto di fronte all’urgenza di una didattica tutta da reinventare. La lettura come evidente è parte integrante di questo scenario e nel nostro settore su questo si è molto discusso, a partire naturalmente da una riflessione sul ruolo che le biblioteche hanno assunto e che assumeranno in futuro in una società che pare aver intrapreso la strada di un ennesimo profondo cambiamento.

Rispetto alla lettura abbiamo assistito ad una sorta di ossimoro: da una parte una sorta di impossibilità a leggere, proprio nel momento in cui sembrava ci fosse più tempo da dedicare alla lettura, in realtà molte persone, soprattutto i lettori forti, hanno manifestato una certa insofferenza, quasi un’impossibilità a dedicarsi a questa attività. D’altra parte, una indagine dell’ISTAT realizzata nel mese di aprile su come gli italiani hanno occupato il proprio tempo durante il lockdown  ci dice che la lettura è stata una delle attività più praticate nel tempo libero: alla lettura si è dedicato il 62,6% della popolazione. Si tratta di persone che hanno dichiarato di aver trascorso parte della giornata leggendo libri, riviste, quotidiani o altro. Il 39,7% ha letto libri, quotidiani o altro online o su supporto digitale e il 34,6% su supporto cartaceo.

Sapevamo già che questa attività stava vivendo una profonda trasformazione, da ormai almeno un decennio probabilmente la grande accelerazione rispetto al tema del digitale ha semplicemente permesso di vedere più chiaramente alcuni fenomeni ad essa connessi. Per esempio il primo che mi viene in mente è che non credo si possa più utilizzare la contrapposizione tra la lettura fuori e dentro la rete, “analogico vs digitale” è un parametro che non ha più senso. Tutto si tiene insieme e ciò significa anche che gli strumenti che utilizziamo tradizionalmente per studiare i comportamenti di lettura non sono più adeguati. Mi riferisco qui alle classiche ricerche in cui si chiede agli italiani quanti libri leggono e dove li acquistano. Credo che oggi ci sia bisogno di esplorare modalità di lettura diverse e farlo con strumenti diversi, che possono essere quelli messi a disposizione proprio dal web.

Era necessaria questa premessa per spiegare meglio il primo aspetto sul quale vorrei soffermarmi parlando di social reading: proprio le piattaforme di social reading consentono di conoscere i comportamenti di lettura in modo diverso, perché inevitabilmente, nel momento in cui questi strumenti vengono utilizzati, conservano le tracce digitali dei comportamenti dei lettori, e quelle tracce possono essere studiate.

È questo l’aspetto su cui mi sono maggiormente soffermata nei miei studi, in particolare nel libro Le reti della lettura (Bibliografica, 2016) realizzato insieme a Maurizio Vivarelli dell’Università degli Studi di Torino nel quadro di un progetto di ricerca condiviso denominato “Leggere in rete. Analisi delle pratiche di lettura in ambiente digitale”, il cui obiettivo è proprio quello di studiare le trasformazioni della lettura, con una particolare attenzione agli strumenti utilizzati.

Naturalmente il tema delle trasformazioni della lettura è ben più complesso, qui ho voluto richiamare solo qualche considerazione “di pancia” direi a seguito del particolare momento in cui ci troviamo. A tale proposito penso sia utile ricordare che negli ultimi mesi è stata pubblicata una quantità imponente di contributi sul tema della trasformazione della lettura; tra tutti, mi viene in mente un interessante instant book realizzato dalla Fondazione per Leggere (#iostoacasaaleggereepoi? a cura di Luca Ferrieri, Federico Scarioni e Paolo Testori,  all’interno del quale ci sono molteplici riflessioni sulla trasformazione della lettura, delle biblioteche e delle librerie di fronte alla pandemia. Una lettura assolutamente consigliata.

Faccio una considerazione in retrospettiva: la lettura, prima della modernità, era legata a una dimensione sociale – spesso rituale – piuttosto che individuale. L’invenzione della stampa a caratteri mobili ha cambiato tutto, innescando un processo che ha reso possibile per ognuno trasportare la lettura nella dimensione della propria intimità. Ritieni che il social reading possa essere considerato un’ulteriore fase di mutazione in questo processo?

Volevo chiederti inoltre, siccome nell’ecosistema del social reading troviamo sia servizi dedicati (mi vengono in mente aNobii e Goodreads, probabilmente i più famosi), sia tante discussioni o condivisioni su altri social (Facebook soprattutto), se a tuo parere emergono differenze di comportamento rilevanti tra le diverse fasce della popolazione.

Faccio una premessa: il social reading si va a inserire in uno scenario in cui, negli anni, si è affermata la lettura in ambiente digitale e si sono diffusi una serie di prodotti, supporti e device per la lettura di ebook che però, dal mio punto di vista, non hanno rivoluzionato fino in fondo le forme di lettura.

Abbiamo assistito all’esplosione del mercato degli e-readers, ormai dieci o quindici anni fa, e questa sembrava un’ascesa inarrestabile, mentre poi abbiamo capito che non aveva affatto modificato i comportamenti di lettura: quegli strumenti venivano infatti utilizzati da chi leggeva già il libro a stampa. La mia impressione è che i lettori siano andati oltre: non trovando quella rivoluzione dalla quale desideravano essere investiti negli strumenti che accennavo, hanno iniziato a praticare forme di lettura diverse, anche sganciate dagli strumenti stessi.

Più che entrare nella specificità delle singole piattaforme, mi sembra più interessante sottolineare un altro aspetto, cioè che, così come non può più essere utilizzato come parametro il dentro/fuori la rete, allo stesso modo non credo sia utile ragionare in termini di competizione “libro a stampa vs ebook”.

La competizione vera oggi è legata al “mercato dell’attenzione” e forse la partita è tra parola vs immagine.

Con il gruppo di ricerca che coordino e che prima ho richiamato abbiamo dedicato grande attenzione all’analisi delle piattaforme. Oltre al volume che ho richiamato, nel 2018 abbiamo curato un fascicolo della rivista DigitCult – Scientific Journal on Digital Cultures, un numero monografico dedicato proprio al social reading; in questo numero c’è un bellissimo articolo di Viola Marchese in cui ritroviamo una panoramica delle piattaforme e alcune riflessioni connesse anche alle similitudini e alle differenze con i più tradizionali gruppi di lettura.

Per chi fosse interessato al tema direi che un buon punto di  riferimento per cominciare è il lavoro di analisi e tipizzazione svolto da Bob Stein per l’Institute for the Future of the Book, che ha proposto nel 2010 una tassonomia delle pratiche di lettura; all’interno di questo scenario si vanno a collocare le piattaforme di lettura, tra le quali mi viene in mente per esempio anche Wattpad, piattaforma molto utilizzata dai giovanissimi perché permette anche di diventare creatori di contenuti.

Nel nostro gruppo di ricerca ci siamo soffermati principalmente su Anobii, piattaforma usata fortemente dalla comunità di lettori italiani, e dunque ci interessava proprio per entrare nella trasformazione a cui accennavo prima. Le piattaforme di social reading forniscono anche l’opportunità di entrare nella “fabbricazione del lettore”, per citare L’invenzione del quotidiano di Michel De Certeau, uno dei nostri punti di riferimento. Con Anobii, in accordo con la Mondadori che allora ne era proprietaria, abbiamo provato a fare un’analisi dall’interno della fabbricazione del lettore, ovvero concentrandoci sulle recensioni dei libri; queste sono quindi diventate un corpus testuale molto ampio, che ci ha consentito un’indagine approfondita.

Con queste parole tocchi un tema nevralgico per ogni scienziato sociale, ovvero i significati che gli esseri umani danno alle attività che praticano. Il social reading può essere per noi studiosi uno strumento per comprendere meglio quali significati vengono riconosciuti alla lettura? Che strumenti si potrebbero utilizzare a questo riguardo?

Il social reading offre certamente questa opportunità. Noi possiamo entrare in contatto con i dati lasciati in queste piattaforme, ad esempio con le recensioni, e dunque possiamo entrare nelle parole dei lettori; quelle recensioni diventano un corpus testuale che può essere analizzato. Come ti accennavo, abbiamo condotto molteplici analisi, spaziando da questioni generali, come il tentativo di indentificare una differenza nel modo di riflettere e dunque parlare di libri tra uomini e donne, perché sappiamo che nella lettura emergono importanti questioni di genere (in tutte le fasce di età, le donne leggono mediamente più degli uomini), a temi più specifici. A questo proposito, mi viene in mente un lavoro su Gomorra di Saviano, tramite l’analisi di migliaia di recensioni lasciate durante i primi dieci anni di vita del libro.

Queste sono ricerche condotte grazie agli strumenti di analisi automatica dei testi, in cui cioè le parole vengono elaborate con l’uso di metriche statistiche, valutando quindi le occorrenze, le parole più specifiche, quelle invece assenti; ad esempio, è interessante notare come tra le prime parole che emergono da questi corpora costruiti a partire anche da piattaforme diverse sia sempre presente la parola “dovere”. Credo che sia perché è un concetto che ritroviamo nella nostra vita quotidiana: ad esempio, quando ci piace un libro, lo consigliamo dicendo “lo dovresti leggere”.

Siamo in una fase in cui, dal mio punto di vista, si sta affermando questa idea di poter fare analisi su questa tipologia di dati non solo nella loro dimensione di big data ma anche di small data. La cosiddetta netnografia ne è un esempio. Credo che anche per i professionisti dell’informazione, per i bibliotecari, sia utile conoscere un po’ l’uso che può essere fatto dei metodi digitali, ovvero i vantaggi in termini di “conoscenza a supporto delle decisioni” di una ricerca non sul web ma attraverso il web.

A proposito delle biblioteche, una delle cose che volevo chiederti è proprio quale secondo te può essere, se può esserci, un ruolo delle biblioteche all’interno di questi mutamenti; mi chiedo ad esempio che effetti può avere la digitalizzazione e diffusione online dei testi che esse detengono (un processo che molte già hanno iniziato ad attuare, seppur non per tutto il loro patrimonio), se può costituire un’espansione delle loro potenzialità.

A questo riguardo vorrei partire da una considerazione, cioè che proprio in questo periodo di lockdown le biblioteche hanno visto uno straordinario incremento dei prestiti digitali. Ciò vuol dire che si è avvicinato alla biblioteca un segmento (per usare un termine tipico del marketing) di pubblico nuovo.

Ora c’è da capire se questo pubblico è stato solo di passaggio, oppure se si può trovare un modo per trattenerlo, mostrando per esempio un posizionamento molto specifico delle biblioteche sui temi della lettura. Questo è un altro aspetto che mi fa piacere mettere in evidenza: io credo che, visto che si parla tantissimo di riposizionamento delle biblioteche, innanzitutto sia importante ricordare cos’è il posizionamento che nel marketing è un concetto molto preciso e che ha a che vedere con la posizione che un prodotto, un marchio, un servizio (le biblioteche, in questo caso) occupa nella mente e nel cuore delle persone. Io credo che in questo senso un posizionamento più specifico rispetto alla lettura e alla literacy sia un tema sul quale riflettere.

Tornando al social reading mi viene in mente qualcosa che le biblioteche fanno già da moltissimo tempo: i gruppi di lettura, che sono una forma di social reading non mediata dal web, ma che ad esempio, in questo periodo di pandemia, si sono trasferiti sul web con grandissimo successo. Questa potrebbe essere una pratica che, pur senza sostituire la modalità in presenza, vi si va ad affiancare.

In conclusione, il libro – soprattutto nel nostro Paese – viene spesso descritto come un medium sempre più in difficoltà; ti chiedo se il social reading “allarga” il campo, se riesce cioè a contribuire alla diffusione della lettura e all’ampliamento del bacino di lettori.

Ti devo dire la verità, non mi sento di dare una risposta netta a questa domanda. Forse proprio perché il periodo che abbiamo vissuto ci pone di fronte alla necessità di tornare a studiare anche fenomeni che pensavamo di conoscere molto bene. Forse assisteremo a un’ulteriore trasformazione dei comportamenti degli utenti dei servizi bibliotecari, a nuovi modi di accostarsi alla lettura e alla lettura sociale e sarà veramente importante osservare, capire, analizzare e interpretare ciò che sta succedendo, più che prevedere ciò che succederà.

Non so dire quanto il libro sia davvero in difficoltà, sento però che anche su questo tema abbiamo bisogno di pensare in modo nuovo. Penso per esempio allo straordinario valore simbolico di questo oggetto. In questi mesi in cui siamo più o meno tutti entrati nelle case dei nostri interlocutori, facendo lezioni, esami, riunioni e seminari via web abbiamo avuto accesso all’intimità della vita domestica di chi c’era dall’altra parte dello schermo, e nove volte su dieci alle spalle di chi comunicava con noi c’era una libreria. Più volte mi sono resa conto di essere distratta, occupata dal tentativo di riconoscere i libri alle spalle dei miei interlocutori.

Le biblioteche private, come un recente libro di Roberto Calasso insegna (Come ordinare una biblioteca, Milano, Adelphi, 2020) possono riprodurre l’intelaiatura del pensiero di chi dà loro vita. È un tema che mi affascina moltissimo e che richiama altre interessanti letture: da Alberto Manguel (Vivere con i libri. Un’elegia e dieci digressioni, Torino, Einaudi, 2018) al classico di Umberto Eco De Bibliotheca (Milano, I Quaderni di Palazzo Sormani, 1981) fino ad arrivare alla riflessione di Pierre Bayard in Come parlare di un libro senza averlo mai letto (Milano, Excelsior 1881, 2007). Ecco studiare il social reading attraverso le sue piattafome è un po’ come avere un accesso privilegiato a questa intelaiatura del pensiero umano.

Infine molto ci sarebbe ancora da fare sugli strumenti. Penso ad esempio alle opportunità della “lettura aumentata”: in questo periodo sto vedendo la proliferazione di piattaforme a supporto della didattica, un altro aspetto che dovremmo tenere in considerazione poiché non è così distinto dal social reading. La possibilità per gli studenti di avere a disposizione un ambiente digitale in cui poter leggere e commentare insieme a mio parere è un’opportunità straordinaria ai fini della didattica stessa. Credo che il futuro del libro dipenderà anche dalla ricerca che saremo in grado di fare: una ricerca congiunta che dovrebbe andare a lavorare parallelamente su diversi temi: gli strumenti per leggere, gli ambienti (lo accennavamo prima a proposito delle biblioteche), e naturalmente i contenuti e la forma del contenuto, in una visione semiotica. E poi, da qui, anche la socialità della lettura.

Grazie di nuovo, Chiara, per queste riflessioni e per il tempo che ci hai dedicato.

Chiara Faggiolani

Lorenzo Fattori